Ho letto “La mia scoperta dell’America” di Vladimir Majakovskij

Da Mosca a New York passando per Berlino, Parigi, Città del Messico, Loredo, toccando poi anche Chicago, Filadelfia, Detroit, Pittsburgh, Cleveland prima di fare ritorno in Europa, a Parigi, Berlino, Riga, Mosca. E’ il viaggio che ha compiuto dalla primavera all’autunno del 1925 il poeta della rivoluzione Vladimir Majakovskij. Osserva e prende nota e l’anno successivo produce questo diario straordinario per gli effetti che l’America produce sul poeta. Certo non era il primo russo a mettere piede a New York – generazioni di emigranti lo avevano preceduto – ma la ‘sua’ scoperta dell’America è stata differente, combattuto com’era tra l’ideologia del Soviet e l’ammirazione per un Paese in qualche modo antagonista (arriverà anche a dire che il fordismo è compatibile con il comunismo).  Fin dalla traversata (18 giorni) sono argute le sue osservazioni sui viaggiatori:
Le classi sono ben definite. In prima commercianti, fabbricanti di cappelli e di colletti, pezzi grossi dell’arte e monachelle. (…) Seconda classe: piccoli commessi viaggiatori, artisti alle prime armi e un’intelligencija che picchietta sulle proprie Remington. (…) La terza è il ripieno delle stive. Gente in cerca di lavoro nelle tante Odesse di tutto il mondo: pugili, detectives, negri.
Poi, per essere più precisi, in caso di mare grosso: La prima classe vomita dove vuole, la seconda sulla terza, la terza su se stessa. E nella sosta di quarantottore a L’Avana, la terza non viene proprio fatta scendere.
Al momento dello sbarco cominciò a piovere; una pioggerella tropicale che non avevo mai visto.
Cos’è la pioggia?
Aria con uno strato d’acqua.
La pioggia tropicale è invece acqua compatta con uno strato di aria.
Majakovskij è colpito dal Messico. Nella capitale trova povertà, disordine, sporcizia, banditismo. Lì il concetto di rivoluzione è diverso da quello di Mosca: rivoluzionario in Messico è chiunque, armi alla mano, abbatta un potere costituito, uno qualsiasi, a caso.
Per cui non si stupisce della (dis)organizzazione dell’esercito e del fatto che in trent’anni, dal 1894 al 1925, si siano susseguiti ben trentasette governi e che la costituzione sia stata cambiata radicalmente cinque volte.
Poi racconta gustosi aneddoti: l’etimologia di ‘gringo’, dovuta alle truppe americane che invasero il Messico cantando “green go” oppure l’origine della bandiera messicana, chiamata ‘anguria’. Un drappello di rivoltosi, mentre si rimpinzava di angurie, pensava ai colori nazionali da scegliere. Non avendo molto tempo per scegliere decisero che dovesse essere così, verde, bianco, rosso ovvero scorza, strato interno e polpa. Mi ha incuriosito (anche in Italia ci sono buone angurie…) e ho fatto una ricerca: non ne ho trovato traccia, neanche come leggenda.
Finalmente Majakovskij sbarca a New York e il primo impatto è di quelli tosti. L’ufficio immigrazione di quella che non era ancora la ‘grande mela’ era poco tenero nei confronti di chi arrivava dall’URSS. Poi, passato l’ostacolo, sono tutti gentili. La cosa che lo affascina è vedere i treni urbani viaggiare all’altezza del quarto piano delle case. Le rotaie, bianche e sfolgoranti, si fanno ora gialle, ora rosse o verdi sotto la luce cangiante dei semafori. E poi la luce elettrica dappertutto e il sistema degli ascensori nei grattacieli.
Decine di ascensori ‘locali’ che si fermano ad ogni piano; e decine di ascensori ‘espresso’ che, senza fermate, arrivano dritti al diciassettesimo, ventesimo, trentesimo piano. (…) E se avete due faccende da sbrigare, una al settimo e l’altra al ventiquattresimo piano, prendete l’ascensore interno (local) fino al settimo e poi, per non perdere ben sei minuti, vi conviene prendere quello espresso.
Sono note che fanno sorridere il lettore di oggi, ma c’è da credere che l’ingenua ammirazione dell’uomo venuto dal comunismo fosse autentica. Così è anche per l’organizzazione dei pasti, costi e durata del pranzo in base alla paga settimanale: Quelli a cento dollari mangiano con calma e possono anche tardare al lavoro.
Ma è il ‘sogno americano’ dei milioni di immigrati che lo affascina maggiormente, tanto da chiedersi chi sono, in fondo, questi americani? e quanti lo sono al cento per cento? E per sopravvivere soccorre la poesia del dollaro, un fascino a cui nessuno sfugge e che risolve tutto. Poi deve uscire da New York per interrogarsi su cosa è veramente l’America. Majakovskij vi si è recato per tenere alcune conferenze, per incontrare membri del partito comunista americano, per visitare fabbriche. Tocca con mano il problema angosciante del razzismo e della mafia nelle grandi città.
A Chicago è soggiogato dalla grandezza di tutto: i più grandi mattatoi, i più grandi produttori di legnami, le più grandi industrie, il più grande deposito di pianoforti, gli omicidi più sensazionali…
I macelli lasciano sempre un segno. Dopo che ci hai lavorato, o diventi vegetariano o ti metti tranquillamente ad ammazzare la gente quando al cinema non ti diverti più.
Eccola finalmente la critica feroce di un comunista al sistema capitalista per eccellenza che gli fa venire voglia di imbottire di dinamite una subway sotto Wall Street per farla saltare in aria, con tutti i suoi registri di azioni, di nomi di depositi e di debiti esteri. Salvo poi convenire che dell’azienda di Ford qualcosa, senza troppi cambiamenti, si può estendere al socialismo. Ma a Detroit c’è il più alto numero di divorzi, perché il sistema Ford rende impotenti gli operai.
Pro e contro dell’America del 1925, chissà se Majakovskij facesse il viaggio oggi…

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