Ho visto “Violette” di Martin Provost

Pescato nel mazzo dei titoli di questa insignificante stagione cinematografica estiva, Violette è stato uno dei pochi film meritevoli di attenzione. E’ la biografia della scrittrice Violette Leduc, forse di secondo piano nel panorama della letteratura francese ed europea del ‘900, ma senz’altro fondamentale per la battaglia delle donne in Francia avendo avuto il coraggio di sfidare la morale corrente trattando temi quali il sesso, l’aborto, l’omosessualità femminile. Dopo un’infanzia difficile, segnata da una madre sempre ostile, Violette nel periodo dell’occupazione nazista traffica al mercato nero e vive con Maurice Sachs, altro scrittore minore e particolarmente controverso, gay e collaborazionista dei tedeschi. E’ una convivenza di comodo per entrambi. Sachs è il primo a spingerla a scrivere, prima di abbandonarla e partire per la Germania.
Il film di Martin Provost (Seraphine, 2010) prende le mosse da qui e segue Violette Leduc al suo ritorno a Parigi dopo la guerra. La donna sa che per emergere nel mondo delle lettere occorre una forte sponsorizzazione e la cerca in Simone de Beauvoir a cui sottopone il suo primo manoscritto. Alla famosa scrittrice il lavoro piace e lo fa pubblicare da Gallimard, in una collana diretta da Albert Camus, con il titolo L’Asfissia (1946). Non è un gran successo editoriale, ma riceve le lodi di intellettuali come Sartre, Cocteau, Genet. Il film procede cronologicamente e tra mille dubbi, confitti interiori, difficoltà nel rapportarsi con il mondo circostante Violette produce successivamente L’Affamata (1948), Ravages (1955), fino a La Bastarda (1964), l’autobiografia che rappresenta il suo maggior successo, incentrata sul conflitto con la madre. In tutti questi anni è sempre seguita e incoraggiata da Simone de Beauvoir, con la quale Violette vorrebbe che il rapporto non fosse soltanto di stima e amicizia.
Il bel lavoro di Provost regge proprio per la forza di questa dicotomia: la signora intellettuale della buona borghesia francese e la povera figlia illegittima di una cameriera, ma ansiosa e vogliosa di emergere, in una parola ‘affamata’ come il titolo del suo libro.
Entrambe le interpreti sono di una bravura devastante: Emmanuelle Devos (La moglie del cuoco, 2014) è Violette, mentre l’algida Sandrine Kiberlain (Gli infedeli, Polisse, Le donne del 6° piano) è l’imperturbabile Simone.
Violette è un biopic ben confezionato che ancora una volta mette d’accordo letteratura e cinema: straordinaria la rappresentazione del mondo editoriale e letterario della Parigi del dopoguerra.

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