Ho letto “Disaccordi imperfetti” di Jonathan Coe

E’ un librino di ‘schizzi e frammenti’, come li definisce lo stesso scrittore inglese. Sa però di operazione commerciale, di quelle che mettono in piedi le case editrici se da qualche tempo non hanno materiale più corposo da uno scrittore. L’ultimo lavoro di Jonathan Coe, Expo 58, in effetti è datato 2013. Con questo non si può dire che i sette raccontini qui raccolti non siano godibili. Tre di questi fanno parte di un progetto futuribile dello scrittore, denominato Unrest, dove si narra di una famiglia borghese del Midwest tra gli anni ’60 e ’80 del secolo scorso. Reminescenze musicali si intrecciano con episodi di vita familiare anche dolorosi (Pentatonica, Rotary Park, Ivy e le sue sciocchezze) in narrazioni vintage dove appaiono oggetti ormai in disuso come il Walkman Sony o le cassette Stereo8. Peraltro, di musica è pervaso tutto il librino. 
Nona e Tredicesima
è l’incrocio tra due strade di New York ma sono anche due accordi sui quali si sviluppano possibilità di incontro tra due persone.
…non avevo mai saputo il suo nome, e continuai a suonare questi due accordi e li sto ancora suonando, proprio in questo momento, Nona e Tredicesima, Nona e Tredicesima, il suono di infinite, sterminate, irrisolte possibilità.
L’incomunicabilità, per via delle lingue diverse, e le mancate possibilità di incontro sono anche il tema di V.O. Versione originale, in cui William, un musicista tedesco di colonne sonore in giuria in un festival cinematografico, incontra una giornalista arrembante ma dalla carriera insoddisfacente.
A un certo punto, smise di essere un’intervista e si trasformò in una conversazione. E dopo un po’, smise di essere una conversazione e si trasformò in un flirt.
Pascale, la giornalista in questione, viene chiamata dalla direzione del festival a sostituire un traduttore assente, proprio durante una proiezione per la giuria. Il film, del filone sex-horror, è in spagnolo con sottotitoli in francese e la ragazza sussurra la traduzione all’orecchio del giurato.
William poteva sentire l’alzarsi e l’abbassarsi del suo respiro. Poteva sentire l’odore del suo corpo nel pesante calore della sala. Nell’ultima scena del film non riusciva più a capire se era Gertrud o Pascale che gli stava parlando.
Il libro si conclude con una sorta di diario di Jonathan Coe a proposito del film di Billy Wilder, La vita privata di Sherlock Holmes. Il primo incontro con quel titolo avviene nel 1972, quando Coe ha undici anni. Poi vi si imbatte diverse volte durante l’adolescenza e da semplice curiosità nel corso della sua vita diviene un’ossessione. Del film vuol sapere tutto, ma proprio tutto: approfondisce i temi della colonna sonora di Miklós Rózsa, cerca le pellicole originali e le scene tagliate, le persone che vi avevano lavorato. Infine nel 2004, dopo aver pubblicato un articolo sui Cahiers du Cinéma, prima scopre la comune ossessione con lo scrittore spagnolo Javier Marías, che cita La vita privata di Sherlock Holmes nel suo romanzo Un cuore così bianco, poi riceve una lettera di Billy Wilder, ormai novantaquattrenne e malato, lieto di sapere che per qualcuno quel film è diventato un’ossessione.

Share this nice post:
Questa voce è stata pubblicata in Libri. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*