Ho letto “La mano sbagliata” di Jean-Michel Guenassia

La mano sbagliata è uno di quei libri da consigliare (così come è stato fatto con me dalla mia libraia preferita) senza raccontarne molto. E’ la storia di un giocatore, Baptiste Dupré. Ama il gioco fin dall’infanzia e poi diventa un incallito pokerista. Si laurea, si sposa, ha una bella attività come avvocato con tanto di clientela di prestigio, ma il gioco rimane il suo tarlo.
“La vita è come il poker” diceva, “non c’è fortuna o sfortuna. Non c’è rischio né incertezza. In realtà le carte non c’entrano. Vince chi deve vincere. Perde chi vuole perdere”.
Sono gli incontri, le persone equivoche che si sono messe sulla via, a farlo deragliare e a portarlo a giocare la ‘mano sbagliata’. Dupré ama il gioco per se stesso, non è minimamente interessato ai soldi, anche se il denaro è necessario per giocare. “La mia volontà e le mie certezze di gioventù sono svanite. Ho voluto perdere. E’ colpa mia. Non bisogna mai essere complici del proprio declino”.
Delineare il carattere di Dupré mi sembra più che sufficiente. Il gioco (d’azzardo) in letteratura va sempre molto forte. Di giocatori perduti sono piene le pagine di tanti capolavori, vedi in Dostoevskij, Maupassant, Schnitzler, Puškin, Landolfi, Zweig… Ora aggiungiamo anche questo Dupré. “Questa storia non farà sì che il poker mi ripugni. Resterò per tutta la vita un giocatore, perché adesso so che si prova più piacere a perdere che a vincere”.
Il resto è da scoprire leggendo. La scrittura è scorrevole, la trama avvincente, si potrebbe definire pirandelliana, il finale è più che una sorpresa. La vicenda è ambientata in una Parigi piovosa e quasi inospitale. Lì vive anche Jean-Michel Guenassia che ha abbandonato la professione di avvocato per fare lo scrittore, diventando famoso alle soglie dei sessant’anni con Il club degli incorreggibili ottimisti (2010). E’ al suo terzo romanzo, tutti pubblicati da Salani. In realtà La mano sbagliata (2015) è il suo primo libro, scritto nel 1986 e rieditato nel 2014 con il titolo Dernière donne.
Quella figura gli era familiare. “Sono io o è lui?”. Senza fiato, il cuore in tumulto l’uomo si immobilizzava, macchia nera in un’aureola bianca.

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