Ho visto “Almanya – La mia famiglia va in Germania”

Chi si aspetta di vedere una commedia rimane deluso. In effetti il trailer ufficiale, presentando il film come tale, non gli rende merito. Per dirla tutta, Almanya non è parente, neppure alla lontana, della etnocomicità del film inglese East is east (1999). Se mai è prossimo al francese Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano (2003): c’è la stessa leggerezza nel trattare il confronto tra generazioni, i temi della famiglia, la nostalgia per le proprie radici. Con poche pennellate Almanya – La mia famiglia va in Germania” lascia intuire quanto importante è stata l’immigrazione turca nel dopoguerra e come è avvenuta l’assimilazione di milioni di lavoratori. Trentenne tedesca di origine turca, Yasemin Samdereli racconta la storia della famiglia Ylmaz, dal capostipite Husein arrivato in Germania negli anni Settanta, all’ultimo dei nipoti, il piccolo Cenk. Tutti si considerano tedeschi ma ciascuno, chi più e chi meno, sente il richiamo della terra d’origine, l’Anatolia. Tanto è vero che quando Husein muore durante un viaggio in Turchia con la famiglia al completo, un solo figlio, disoccupato e divorziato, ritiene di fermarsi lì. Gli altri, e soprattutto la nonna Fatma, vogliono tornare in Germania. La storia di Husein è raccontata da una nipote attraverso flashback durante il viaggio.
L’esordiente Yasemin Samdereli abbina delle ingenuità (il cristo che scende dalla croce per spaventare il bambino musulmano, i luoghi comuni sui tedeschi visti dai turchi, il cane bassotto scambiato per un topo gigante) ad alcune felici intuizioni (il sogno della cocacola, Cenk che si fa radere come un grande, i funerali del vecchio con l’abbinamento di ogni personaggio al se stesso giovane). E’ un film da vedere in compagnia in questo periodo natalizio per riflettere sull’incontro e il mescolamento fra culture, sui tanti nodi ancora da sciogliere in fatto di immigrazione. Raccomandato in particolar modo ai leghisti, grandi cultori e difensori delle radici. Come scrisse lo scrittore elvetico Max Frisch, parafrasato nel film, a proposito dell’immigrazione italiana in Svizzera “Volevamo dei lavoratori, sono arrivate delle persone”.

Share this nice post:
Questa voce è stata pubblicata in Cinema. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*