Ho visto “Interruption” di Yorgos Zois (Grecia) – Biennale di Venezia 2015, Orizzonti 72

In un grande teatro di Atene si recita una versione postmoderna dell’Orestea di Eschilo, con tanto di gabbia vetrata per gli attori e luci al neon. All’improvviso lo spettacolo si interrompe ed entra un gruppo di giovani armati di pistole. Uno di essi prende un microfono e rivolgendosi al pubblico invita chi lo desidera a salire sul palco a prendere il posto degli attori. A quel punto inizia un’altra recita, guidata da questo pseudo regista. Sceglie e fa scegliere gli improvvisati attori in quale direzione il dramma deve andare. Esempi di metateatro ce ne sono a bizzeffe, da Shakespeare in poi, forse già dal teatro greco, fino agli autori contemporanei, passando per quei capolavori della trilogia del teatro nel teatro di Pirandello. Anche il cinema ci ha messo il becco, complicando ulteriormente le cose. Penso solo al più recente film di Polanski, Venere in pelliccia, in cui la finzione teatrale si fonde con la realtà (che a sua volta è finzione cinematografica).
In una dichiarazione di presentazione del film il regista greco Yorgos Zois afferma di essersi ispirato alla vicenda del 23 ottobre 2002, quando cinquanta ceceni armati presero in ostaggio 850 spettatori nel teatro Dubrovka di Mosca. “Durante i primi minuti dell’attacco, il pubblico, ammaliato dall’ambivalenza del momento, pensa che tutto ciò faccia parte dello spettacolo” dice Zois. “In questi attimi cruciali, finzione e realtà, verità
e menzogna, logica e assurdità si mescolano”.

Quanto accade in scena però è troppo ambiguo perché il pubblico possa raccapezzarsi. Il pubblico in teatro intendo, figuriamoci quello al cinema! I morti sul palcoscenico sono veramente morti o sono ulteriore finzione nella finzione? Zois lascia a ciascuno trovare la propria soluzione o almeno un senso al suo film. Troppo cerebrale per me. A questo punto preferisco il teatro (anche nel teatro). L’ora e cinquanta di film mi ha annoiato.

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