Ho letto “Viaggio di una parigina a Lhasa” di Alexandra David-Néel

L’Oriente – soprattutto il Tibet – è la terra del mistero e degli avvenimenti strani.
Sarà un caso ma termino questo libro proprio nei giorni in cui a Roma si celebra il Festival della Letteratura di Viaggio. E che viaggiatrice fu Alexandra David-Néel, la prima donna occidentale a entrare nel 1924 a Lhasa! La città all’epoca era vietata agli stranieri e lei, travestita da mendicante, vi arrivò dopo otto lunghi mesi di marcia partendo dalla Mongolia e attraversando il Tibet. Francese della Marna, di ottima famiglia, nella sua lunga vita (morì nel 1969 a 101 anni) fu esploratrice, fotografa, orientalista, antropologa e scrisse più di trenta libri di viaggi e alcuni testi sul Buddhismo. Intraprese il viaggio descritto in questo libro a cinquantacinque anni, accompagnata dal solo figlio adottivo Aphur Yongden, monaco Lama tibetano. La lettura è illuminante per comprendere la caparbietà e le motivazioni di questa straordinaria viaggiatrice.
E’ un mio principio non accettare mai una sconfitta di qualsiasi natura possa essere e chiunque sia ad infliggermela.
Altre volte aveva tentato di raggiungere ‘il Paese delle Nevi’ e la ‘Roma del Tibet’ ma sempre era stata respinta. La compagnia del Lama è stata fondamentale per superare le mille difficoltà del viaggio, a piedi e in assoluta povertà, ma soprattutto per aiutarla a nascondere la sua natura di ‘philing’, cioè straniera.

Era una di quelle mattine in cui la natura ammalia con la sua magia ingannevole e ci si profonda nella beatitudine delle sensazioni, nella gioia di vivere.
Le descrizioni della natura
occupano ovviamente la maggior parte delle pagine ma molto spazio è anche dedicato all’osservazione delle persone incontrate, dei loro usi e costumi, delle case, dei cibi. Il freddo – nei sei mesi del viaggio è compreso un intero inverno – e l’alimentazione costituiscono il problema principale, per non dire della sporcizia nelle casupole dove talvolta sono generosamente ospitati…
Mi sarei seduta sul pavimento accidentato della cucina sul quale venivano liberamente sparsi ogni giorno la minestra grassa, il tè al burro e gli sputi di una famiglia numerosa. Donne eccellenti, piene di buone intenzioni mi avrebbero teso i ritagli di un pezzo di carne tagliato sul lembo di un vestito che da anni serve loro da canovaccio da cucina e fazzoletto da naso. Avrei dovuto mangiare alla maniera dei poveri diavoli… e piegarmi infine a una quantità di cose il cui solo pensiero mi rivoltava lo stomaco.
Nel lungo peregrinare valicano colli alti anche oltre i 5.500 metri, guadano fiumi appesi a una sola corda, dormono quasi sempre sotto le stelle o sotto la neve, in una tendina che ripara appena e scaldandosi a un braciere alimentato con pochi ciocchi di legno e con sterco secco di vacca e capra. In più ci sono banditi e predatori che quasi sempre vengono evitati con astuzia o grazie alle parole di Yangden, perché un Lama gode sempre di un certo ascendente sui comuni mortali. Una sola volta Alexandra ha dovuto far uso di una rivoltella che ha sempre tenuto nascosta in un manica della sua tunica. Stupisce solo che non ci siano stati incontri con bestie feroci, orsi, tigri e lupi sono solo evocati come un pericolo potenziale.
E’ stato un viaggio incredibile da portare a termine, dalla Mongolia attraverso tutto il Tibet, e nel 1924 non si parlava ancora di trekking! Poi, ai due mesi trascorsi a Lhasa, non più da mendicante ma con un rango leggermente più elevato, Alexandra dedica poche pagine.
A nessuno in questo paese dove mai straniero era penetrato, sarebbe venuta l’idea che una ‘philing’ si era avventurata attraverso queste solitarie montagne.

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