Ho visto “Marguerite” di Xavier Giannoli

Avevo lasciato indietro questo film, in concorso a Venezia e uscito nelle sale a metà settembre. Vanta ancora una buona tenitura. La baronessa Marguerite Dumont, appassionata di bel canto (si fa per dire) ama organizzare concerti per beneficenza con veri artisti della musica. Nella sua villa nobiliare si radunano così aristocratici filantropi, autorità civili-militari-religiose, parvenu della gaudente Parigi post-bellica (siamo negli Anni Venti). Purtroppo Marguerite, pur essendo stonata come una campana, ha l’ambizione di infilare se stessa in quei programmi pomeridiani e di esibirsi come cantante d’opera.
Il risultato è un autentico strazio per le orecchie, l’apoteosi della stonatura, il trionfo della mancanza di talento. Ma nessuno le fa notare la sua insipienza vocale anzi, il pubblico codardo e ipocrita l’applaude convinto. In fondo lo scopo non è raccogliere soldi per gli orfani di guerra? Allora tanto vale sottoporsi periodicamente a questa tortura. Anche il marito, lo squattrinato nobile decaduto Georges Dumont, le tiene bordone, tanto poi c’è la procace amante a farlo divertire. Tutto si complica quando la fama della baronessa valica la cinta della villa e si spande per Parigi, complici alcuni giovanotti mattacchioni imbucati ai concerti. Tra di loro c’è un giovane giornalista, Lucien Beaumont, grande adulatore di Marguerite, che la convince a prestarsi per un concerto in una cave anarchica. Il risultato è da intervento della forza pubblica. Eppure Marguerite, caparbia, persevera. Instancabile collezionista di spartiti e cimeli lirici, con i soldi non può però acquistare l’unica cosa che desidera, una voce gradevole e intonata. E’ naif, poco umile, forse anche non intelligente (lo si capisce da come guarda la gente, canterebbero Cochi e Renato) e si infila in un vicolo cieco: ingaggia un famoso cantante in disarmo per prendere delle lezioni, tal Atos Pezzini. Naturalmente è italiano, un po’ mariuolo e si installa con tutta la sua coorte dalla generosa baronessa. I risultati ancora una volta sono scadenti, perché ovviamente continua a mancare la stoffa. Si arriva così al recital in un grande teatro parigino, davanti a un pubblico vero, mediaticamente montato dal solito Beaumont. Se la stecca è il momento in cui il cantante emette una nota sbagliata, qui avviene l’esatto contrario: in una stonatura continua Marguerite azzecca un’unica, sorprendente, inarrivabile nota giusta. Ma le sarà fatale.
Il film del francese Giannoli è interessante per l’affresco mondano e nobiliare dell’epoca, per il quadro della Parigi dei fermenti artistici. A Marguerite va tutta la nostra simpatia anche se in alcuni frangenti la sua caparbietà ci irrita e ci fa agitare sulla poltrona. Possibile che nessuno riesca a metterla di fronte alla verità? E’ interpretata da Catherine Frot che qualcuno ricorderà in La cuoca del Presidente (2013) e prima ancora in La voltapagine (2007), ma la sua filmografia ci porta addirittura al Mon oncle d’Amérique (1980) di Alain Resnais. Lei si staglia sopra tutti ma sono degni di nota anche André Marcon (il marito Georges), Michel Fau (il maestro Pezzini) e in particolare Denis Mpunga che tratteggia il devoto e imperturbabile maggiordomo di colore Madelbos, una figura che ci ricorda il Max von Mayerling di Erich von Stroheim nel Viale del tramonto (1950) di Billy Wilder.
Giannoli si è ispirato a Florence Foster Jenkins, un soprano statunitense, vissuta a cavallo del 1900 e divenuta famosa per la sua completa mancanza di doti canore. Ciò non le impedì di incidere alcuni dischi.

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