Ho letto “Stoner” di John Williams

Ho voluto leggere i tre romanzi scritti da John Williams in ordine inverso rispetto alla loro pubblicazione in Italia che è poi l’ordine originale della loro scrittura (nulla, solo la notte – 2014, Butcher’s Crossing – 2013) per arrivare infine a quello che è considerato il capolavoro dello scrittore e che ha dato origine a una sorta di bolla letteraria, tanto è stato osannato da colleghi scrittori, critica e lettori. Stoner, dunque. Ma perché tanto successo per un libro che contiene la storia di una vita piana, senza sorprese, senza tanti accadimenti né spettacolari colpi di scena? Innanzitutto il romanzo è sostenuto da una prosa pregevole e già è una cosa che non capita tutti i giorni. Ma la carta vincente, a mio parere, è che Stoner si occupa della vita tout court. Della nostra vita! Nella parabola esistenziale del professor William Stoner (in realtà un associato per tutta la carriera universitaria, lui non ci tiene ad essere chiamato professore), che va grosso modo dagli anni delle Grande Guerra al 1956, riconosciamo tutte le nostre incertezze, i nostri fallimenti, i momentanei ardori, le passioni durature, massì anche le persecuzioni. Che per Stoner si chiamano Edith, la moglie, e Holly Lomax, il rettore con cui entra presto in rotta di collisione. Entrambi aprono e chiudono la sua vita di uomo e di studioso della letteratura inglese nonché silenzioso e infaticabile plasmatore di giovani studenti. In mezzo ci stanno un amico e poi collega per tutta la vita, una figlia tanto amata ma subito tenuta lontana dalla moglie, una giovane collega e amante che per qualche tempo sottrae Stoner dal grigiore della propria esistenza. La vita è tutta qui. Chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando? Eterne domande che ci poniamo e che si pone l’umanità intera da quando esiste. William Stoner se le pone sul letto di morte, quando un cancro gli fa vincere l’ultima battaglia contro il malvagio rettore Lomax e gli fa ritrovare a tempo ormai scaduto l’affetto della moglie.
Aveva voluto essere un insegnante e lo era diventato. Eppure sapeva, lo aveva sempre saputo, che per buona parte della sua vita era stato un insegnante mediocre. Aveva sognato di mantenere una specie d’integrità, una sorta di purezza incontaminata; aveva trovato il compromesso e la forza dirompente della superficialità. Aveva concepito la saggezza e al termine di quei lunghi anni aveva trovato l’ignoranza. E che altro?, pensò. Che altro? Cosa ti aspettavi?, si domandò.
A leggere di seguito i tre romanzi di John Williams, pur diversissimi tra loro, non è difficile trovare in William Stoner echi della figura di Arthur, il giovane senza passato e senza futuro a cui il mondo va di traverso, protagonista di nulla, solo la nottee di William Andrews, il giovane alla perenne ricerca di un rapporto intimo con la natura, protagonista di Butcher’s Crossing, che io considero il vero capolavoro di John Williams.
Sì, Stoner siamo noi e stone è la pietra su cui si concluderanno le nostre esistenze. Nella postfazione lo scrittore Peter Cameron (Un giorno questo dolore ti sarà utile, Coral Glynn, Il weekend, Andorra) confessa di aver letto Stoner per tre volte e di aver pianto leggendone le pagine finali. In effetti è impressionante il realismo con cui sono scritte quelle pagine, sembra quasi che Williams abbia vissuto quei momenti.
Cosa ti aspettavi?, pensò di nuovo.
Una specie di gioia lo colse, come portata dalla brezza estiva. Ormai ricordava a malapena di aver pensato al fallimento, come se avesse qualche importanza. Gli sembrava che quei pensieri fossero crudeli, ingiusti verso la sua vita. Vaghe presenze si affollavano ai bordi della sua coscienza. Non riusciva a vederle, ma sapeva che erano lì, a raccogliere le forze in cerca di una palpabilità che non era in grado di vedere né sentire. Si stava avvicinando a loro, lo sapeva. Ma non c’era alcun bisogno di correre. Poteva ignorarle, se voleva. Aveva tutto il tempo del mondo.

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