Ho visto “La vita è facile ad occhi chiusi” di David Trueba

Bel filmetto, pluripremiato in patria. David Trueba è il fratellino di Fernando, pure lui regista e autore del più bel docufilm sul jazz che abbia mai visto: Calle 54, presentato al festival di Venezia nel 2000. Un film che mi è rimasto impresso e che cerco di rivedere quando riesco. Ma questo è un altro discorso. David Trueba, a cui si deve anche Soldados de Salamina (2002) tratto dall’omonimo romanzo di Javier Cercas, è soprattutto uno scrittore – pubblicato in Italia da Feltrinelli – che seguo con simpatia e un po’ di divertimento per i suoi Aperto tutta la notte (1995), Quattro amici (1999) e Saper perdere (2008): li consiglio a chi non li conosce.
La vita è facile ad occhi chiusi (Living is easy with eyes closed) ha mille motivi per essere visto, almeno per un beatlesiano come me. Nel film c’è un pezzo di storia musicale degli anni Sessanta: il titolo è una frase di Strawberry Fields Forever, canzone che ho adorato fin dalla sua uscita come singolo nel 1967 (era abbinata a Penny Lane). John Lennon ne iniziò la stesura nel 1966 ad Almeria in Andalusia dove stava interpretando il film Come ho vinto la guerra di Richard Lester. Ad Almeria si reca il protagonista Antonio San Romàn, un insegnante di inglese, grande fan dei Beatles, di cui usa i testi delle canzoni per invogliare i suoi allievi a studiare la lingua. Vuole incontrare John Lennon e fargli un’intervista. Prende ferie e parte, ma sulla strada incoccia in due ragazzi in fuga. Belen è una ventenne incinta, scappata dall’istituto in cui è rinchiusa dai parenti allo scopo di partorire e lasciare il bimbo. Juanio, 16 anni, fugge invece da una famiglia numerosa e da un padre di una rigidità assoluta. Ricordiamoci che siamo in pieno franchismo e che la dittatura si fa sentire in ogni ambito, dalla famiglia, alla scuola, alla chiesa. Per fortuna esistono persone come il professor Antonio che comprende gli aneliti di libertà dei due fuggiaschi e li prende con sé durante il viaggio. Un po’ fa loro da compagno adulto, un po’ esercita invece quella funzione pedagogica che il suo mestiere richiede. Per un tratto il film è un bel road movie nella Spagna assolata con incontri con persone indimenticabili. Finalmente Antonio riesce a farsi ricevere da John Lennon in un camper della produzione. Ottiene l’agognata intervista e in più il beatle gli registra, chitarra alla mano, un pezzo della canzone che sta scrivendo. Dopo questo evento, va da sé che la compagnia si sciolga e ognuno prosegua per la sua strada.
I due ragazzi sono fenomenali: l’imberbe catalano Francesc Colomer e l’affascinante Natalia de Molina, la cui fama finora non era ancora uscita dai confini iberici. Ma è Javier Cámara a fare la parte del leone. E’ attore almodovadoriano, lo si ricorderà nel ruolo dell’infermiere Benigno in Habla con ella, poi in La mala educacion e ancora nel deludente Gli amanti passeggeri, forse uno dei film più brutti del regista spagnolo.
Antonio viaggia su una gloriosa Fiat 850 verde (ecco un altro dei motivi per cui vale la pena di vedere il film, bisogna però essere nostalgici di quegli anni e soprattutto averci messo le chiappe sopra…). E poi la colonna sonora prestigiosa che si avvale – Beatles a parte – delle musiche del chitarrista americano Pat Metheny, un’ospitata d’eccezione per il film di Trueba. Anche fotografia (Daniel Vilar) e scenografia (Pilar Revuelta) valgono il prezzo del biglietto: hanno, dovutamente, i colori e le atmosfere tipici degli anni ’60.
Solo in una sequenza David Trueba deraglia un po’ (non dico quale), altrimenti sarebbe un film perfetto.

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