Ho letto “Al di là delle sbarre, una storia”

E’ una lettura sorprendente che nasce da un Premio letterario nazionale istituito da Artaban Onlus a cui hanno partecipato detenuti di varie case circondariali d’Italia. Lo scopo era sollecitare i carcerati alla scrittura di fiabe da dedicare ai loro figli o nipoti, reali oppure immaginari. Il successo è stato immediato, la partecipazione ha superato le aspettative, sia dal punto di vista numerico che qualitativo. E allora il concorso non si è limitato a decretare e premiare le migliori cinque fiabe, ma è anche diventato un bel libro che raccoglie una selezione di una quarantina di storie significative edito dalla Fondazione Alberto Colonnetti, che da sempre si occupa di letteratura giovanile. Una lodevole iniziativa di carattere sociale si è trasformata così in un’operazione di grossa caratura letteraria, se è vero, come pare, che non finirà qui. Ci sarà una edizione numero due del Premio, ma soprattutto Al di là delle sbarre, una storia ha attirato l’attenzione della Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani di Torino che sembra intenzionata a produrre per il palcoscenico alcune delle favole del libro.
I detenuti potevano partecipare al Premio con il proprio nome e cognome oppure con la sola iniziale del cognome. Alcuni hanno scelto di allegare al testo poche righe autobiografiche. In ogni caso da tutte le fiabe – se lette in filigrana – si possono intravedere le storie degli autori, con le esperienze negative, le sofferenze provocate, gli errori fatti e soprattutto la volontà di riabilitarsi agli occhi del mondo. La scrittura è una strada da percorrere.
Ha vinto il primo premio Abramo Corsano con la fiaba Popi, Minini e le leggi dell’universo, dichiaratamente dedicata ai suoi figli. Ipotizza un regno lontano con una finestra affacciata sul nostro mondo ma che non può essere oltrepassata dai suoi abitanti che si limitano a guardare ciò che in realtà è accaduto un anno prima. Una bella storia di sogno e di speranza che ha messo d’accordo la giuria del Premio. Va da sé che, in questo contesto, tempo e spazio siano quasi sempre la cornice in cui si svolgono le storie. Qualche partecipante ha azzardato fiabe fantascientifiche o ipertecnologiche mutuate dal mondo dei videogiochi e adeguate ai bambini di oggi (Ororo & Rufus, viaggiatori nel tempo, La nostra astronave, Craschmond…). Ma per lo più si tratta di fiabe classiche con intenti pedagogici, come Antonello, in cui un ragazzo stufo di andare a scuola ma altresì poco propenso a imparare un mestiere, è costretto a fare i conti con i propri errori dopo diversi incontri che lo convincono ad attrezzarsi meglio per affrontare la vita.
Poi ci sono gli animali con i lori mondi da cui c’è molto da imparare. Nel libro incontriamo porcellini, topolini, delfini, conigli, c’è persino un falco senza ali che trova l’aiuto di un orso in un evidente apologo sulla disabilità.
A ben vedere – e sarebbe interessante uno studio in tal senso – tutte le favole sembrano rispondere alle teorie del linguista e antropologo Vladimir Propp (1895-1970) che codificò le fiabe della tradizione popolare russa estrapolando elementi più o meno fissi in ogni narrazione, applicabili poi alle narrazioni fantastiche di ogni latitudine. Anche negli scritti dei carcerati, seppur in strutture molto semplificate, possiamo trovare le varie funzioni dello schema di Propp nonché le tipologie dei personaggi: l’eroe (che può essere un animale antropizzato, come in Ciliegia e Polvere di Stelle), la principessa o il re, l’antagonista, il donatore (John, il matto del villaggio della favola Le due noci), l’aiutante magico (ad esempio nella fiaba Il Bianco Coniglio Magico) e così via.
E’ un libro che fa riflettere, soprattutto se ci si interroga sul dove, come, per chi e soprattutto da chi sono state scritte le fiabe. Alcuni partecipanti sono ergastolani che non vedranno mai al di là delle sbarre i loro figli e nipoti e allora i loro scritti assumono un valore diverso.

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