Ho visto “Il ponte delle spie” di Steven Spielberg

La bellezza del cinema, certo cinema (sicuramente quello firmato Steven Spielberg) è di riuscire a inchiodare lo spettatore alla poltrona anche quando conosce i fatti narrati sullo schermo perché basati su una vicenda realmente accaduta. Il ponte in questione è quello di Glienicke, un ponte stradale che collega Potsdam a Berlino, divenuto famoso perché vi avveniva lo scambio tra le spie dell’Est e dell’Ovest. Nel film si racconta del primo di questi scambi, avvenuto nel 1962, tra la spia russa Rudolf Ivanovič Abel, arrestata a Brooklyn nel 1957 e il pilota di un aereo-spia americano, il famoso U-2, Gary Powers, abbattuto dai sovietici nel 1960. L’arresto di Abel suscitò scalpore negli Stati Uniti e un’ondata di disprezzo e paura nell’opinione pubblica verso il pericolo ‘rosso’. Tuttavia le convenzioni democratiche americane imponevano che il prigioniero avesse dirittto a un processo regolare e a una difesa secondo i principi costituzionali. Come avvocato venne designato James B. Donovan, associato in uno studio che si occupava di assicurazioni. Il suo compito era di dare una parvenza di legalità alla quasi certa, e da tutti gli americani auspicata, condanna a morte. Senonché Donovan (un superlativo Tom Hanks, vuoi vedere che sarà nelle nomination agli Oscar che verranno annunciate il prossimo 16 gennaio?) ne prende a cuore la difesa e nonostante le intimidazioni alla sua famiglia riesce a far tramutare la sedia elettrica per Abel in una condanna a trent’anni. Il suo ragionamento era semplice: in tempi di Guerra Fredda era del tutto probabile che pure una spia americana sarebbe prima o poi caduta nelle mani dei russi. Quindi Abel poteva essere una carta da giocare come scambio. Così fu.
La parte migliore del film è quella ambientata a Berlino, dove Donovan viene inviato per portare a termine la trattativa. Il muro è ormai costruito. L’avvocato è sballottato tra Ovest e Est, sembra una pallina che rimbalza tra CIA e KGB con l’aggiunta dei funzionari della Repubblica Democratica che vogliono assolutamente giocare un ruolo nel negoziato. Così Donovan riesce a inserire una terza variabile e a portare a casa anche un giovane universitario americano imprigionato dai tedeschi con la sola colpa di aver fatto una tesi sui rapporti tra i paesi comunisti.
E’ un grande maestro Spielberg. Il suo film restituisce tutto il grigiore dei funzionari comunisti, i loro squallidi giochini, come la finta famiglia di Abel presentata a Donovan nell’ambasciata sovietica, lo spettrale clima di sospetto a Berlino. Quanto a grigiore non sono da meno gli agenti dell’Intelligence americana. Meglio non averci a che fare. Se mai ne avessi bisogno, invece, vorrei un avvocato come James B. Donovan, uno che si batte fino in fondo per il suo assistito e che si avvale solo dell’imprescindibile “manuale delle regole”, come definisce la Costituzione. Abel per lui è semplicemente un essere umano, non una spia o un nemico. Bel film, caro Spielberg!

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