Ho letto “La bambina che raccontava i film” di Hernan Rivera Letelier

Esponente della fertile letteratura cilena (Bolaño, Serrano, Allende, Ampuero…), Hernan Rivera Letelier ha trascorso l’infanzia nella zona mineraria nel deserto di Atacama, dove esistono i più grandi giacimenti di salnitro al mondo. Proprio lì, dai ricordi della sua infanzia, ha attinto la storia che racconta in questo piccolo romanzo, declinato al femminile. E’ la vicenda di Maria Margarita e della sua famiglia, con i quattro fratelli Mariano, Mirto, Manuele e Marcelino.
Come avrete già capito, mio padre aveva una fissazione con i nomi che cominciavano per emme. Lui stesso si chiamava Medardo, la moglie Maria Magnolia e i suoi genitori Martina e Magno. Una famiglia povera che si poteva permettere il cinema come unico svago ma – visto che in casa il denaro andava a cavallo e noi a piedi – comprando un biglietto soltanto per volta. Chi era di turno avrebbe poi raccontato il film a tutti gli altri. Ma dopo qualche tentativo da parte dei fratelli era stata Maria Margarita a manifestare di gran lunga la miglior capacità affabulatoria per cui il padre decise di mandare al cinema sempre lei. Tornata dallo spettacolo avrebbe raccontato il film a tutta la famiglia riunita nel soggiorno. Era stato un periodo felice per la bambina: dopo la scuola, tutti i giorni al cinema per assistere alla proiezione pomeridiana da raccontare poi a casa. Sveglia e intelligente, Maria Margarita si documenta sui registi e gli attori. Scopre e divora nella biblioteca pubblica tutti i fascicoli di Écran. Ben presto il suo pubblico si allarga e inizia a comprendere anche i vicini di casa.
…mio padre non si stancava di ripetere ai suoi invitati che, sebbene la pellicola fosse in bianco e nero e a mezzo schermo, questa bambina, amici, sembra che la racconti in technicolor e in cinemascope.
La popolarità della bambina che raccontava i film si allarga ulteriormente e la famiglia si organizza per ospitare più gente e far pagare un modesto obolo. Maria Margarita scopre che molti attori hanno nomi fittizi e allora decide di farsi chiamare ‘Fata Delcine, raccontatrice di film’.
Infine questa breve e felice stagione, come in tutte le favole, ha termine: la chiusura delle miniere di salnitro spinge gli abitanti del villaggio ancor più verso la miseria, la famiglia con le tante ‘emme’ si disgrega e infine arriva la televisione.
La televisione cominciò a impadronirsi del villaggio come un’epidemia sconosciuta e altamente contagiosa. E, a quanto pareva, senza un antidoto conosciuto.
A cavallo tra fiaba e dramma, questo lungo racconto di Rivera Letelier è un atto d’amore nei confronti del cinema e della narrazione orale, avendo sullo sfondo una delle zone più povere e insieme suggestive dell’America Latina.

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