Ho letto “Morire in primavera” di Ralf Rothmann

La polizia militare vede chiunque a mille metri di distanza e impicca su due piedi, senza processo. Sono dei veri bastardi.
Siamo agli ultimi rigurgiti della Germania nazista, tardo inverno 1945. Per cercare di resistere e rimandare una sconfitta ormai imminente Hitler arruola anche i bambini o poco più. Walter e Fiete sono due diciassettenni che lavorano in un fattoria nel nord della Germania. Sono mungitori provetti e vivono tutte le esperienze della loro età nonostante la guerra: il ballo del sabato sera, le bevute, le ragazze. Pensano di essere scampati al fronte, i russi sono ormai vicini e anche in caso di arruolamento non ci sarà tempo per terminare un addestramento prima che la guerra finisca. Invece al villaggio arrivano le Waffen-SS, vengono arruolati e inviati al fronte in Ungheria. I due amici si perdono di vista. Walter non sa sparare e viene impiegato come autiere addetto ai rifornimenti. Ha il solo obiettivo di rimanere vivo fino all’armistizio. Fiete invece è spedito in prima linea e non si adatta all’arruolamento. Ha un carattere ribelle e la sfrontatezza della gioventù. Quando beve, anziché dire «Heil Hitler», dice «Drei Liter». Pensa soltanto alla fuga. Viene ferito ma è subito rispedito al fronte dove gli ufficiali sparano sui talloni dei soldati che arretrano.
Walter ritrova Fiete in primavera quando, dopo essere scappato, è stato riacciuffato e imprigionato in attesa dell’esecuzione. Ha un permesso per visitare l’amico ma non riesce ad annullare o a rinviare l’esecuzione. Drammatico è il confronto con il comandante, nel quale rischia perfino di essere spedito lui stesso al muro.
“Come ha ben detto il nostro Führer: un soldato può morire, ma un disertore deve. Fatti dare un permesso e vallo a salutare, ragazzo. Presto ne saprà più lui di tutti noi”.
Per punire la sua insistenza Walter viene inserito nel plotone d’esecuzione, formato da liceali. Vorrebbe evitare di sparare all’amico, ma sa che il comandante conterà sul corpo i fori d’entrata e se ne mancherà uno…
Morire a primavera è un romanzo antiretorico e antimilitarista che ha per tema l’amicizia e il destino. Mi ha riportato con la mente a quando avevo sedici anni e mi ero appassionato ai libri di Sven Hassel, pubblicati dalla Longanesi in una collana sulla seconda guerra mondiale, che leggevo con voracità: Maledetti da Dio, Germania Kaputt, Kameraden, Battaglione d’assalto… Anche quelli, in fondo, erano romanzi contro la guerra. Trattavano di un reparto di disciplina dell’esercito tedesco, formato da avanzi di galera, disertori, oppositori politici, assassini, a cui venivano affidate le missioni più pericolose. Poco sapevo allora di Sven Hassel, pseudonimo del danese Willy Arberg, che le vicende narrate aveva in parte vissuto.
Rolf Rothmann è uno scrittore piuttosto noto in Germania. Morire in primavera è l’unico libro finora tradotto in italiano. Walter, tornato a casa sano e salvo, ha ritrovato la sua innamorata Elisabeth e si è sposato. Era il padre dello scrittore.
Appena entrato, Walter si trovò vicino un tizio con le gambe amputate che suonava la fisarmonica su una sedia a rotelle, ma nel baccano quasi non si sentiva. Gli gettò qualche pfennig nel cappello e si fece largo tra tavoli e sedie fino al lungo bancone da cui si alzavano colonne a tortiglione che sorreggevano un orologio.(…) Elisabeth asciugava delle posate all’altro capo del bancone, accanto a un telefono a parete sopra cui erano ancora appiccicati i resti del manifesto che ammoniva: “Il nemico ti ascolta!”.

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