Ho visto “Human” di Yann Arthus-Bertrand

Ho visto questo film nel pomeriggio di una domenica mentre fuori tutti si affannavano per capire se il referendum avrebbe raggiunto il quorum. Pur se l’oggetto della consultazione aveva in qualche modo a che fare con la natura, lo scarto con il tema del film mi è sembrato abissale. Il regista Yann Arthus-Bertrand ha compiuto un lavoro colossale realizzando con la sua troupe 2.020 interviste in 60 Paesi. Ha dato voce agli ultimi e ai penultimi, a chi voce non ha mai avuto. L’intervistatore non compare né si sente. Le persone parlano di libertà, di fame, di povertà, di violenza, di abusi, del senso della vita. Sono primi piani bellissimi di persone di ogni età che parlano nella loro lingua, in tutte le lingue, mentre le didascalie delle traduzioni appaiono a sinistra o a destra del volto, a seconda delle inquadrature.
Arthus-Bertrand ha raggruppato le interviste secondo i temi trattati, alternandole al montaggio con immagini aeree del Pianeta. E se quelle della Natura vista dall’alto sono spettacolari, di altrettanto forte impatto emotivo sono le immagini dei gruppi di umanità ripresi nelle loro attività, dai soldati in parata ai contadini al lavoro, alle feste popolari che sono sinonimo di gioia.
Tutte le persone si esprimono con disarmante semplicità e buon senso anche di fronte ai temi più drammatici come l’indigenza, la guerra, la violenza privata, l’omofobia. Tanti volti, tante storie. Non tutto è condivisibile, perché le culture rappresentate sono infinite e a volte contrastanti tra loro. Ma lasciano il segno frasi come “Se sono felice prima di morire, lo sarò anche dopo” detta da una vegliarda asiatica senza età, oppure “Il sorriso è l’unica lingua che tutti i popoli possono comprendere” di una ragazza musulmana velata, e ancora quella pronunciata da un uomo, presumibilmente brasiliano, a cui viene chiesto qual è il senso della vita: “Far sì che il messaggio che ognuno di noi bambino porta in sé arrivi all’adulto che diverrà senza disperdersi”. Lasciano il segno e fanno riflettere. L’operazione offre al pubblico – sarebbe meglio dire al singolo spettatore – riflessioni profonde sull’Altro, sull’Umanità che nei millenni non ha fatto progressi e ha in qualche modo violentato il Pianeta. Esci dal cinema e non è più come prima. E chissenefrega di referendum e elezioni.
Il film supera abbondantemente le due ore di durata, ma non annoia mai. Anzi se ne vorrebbe di più. E’ il classico film la cui popolarità si diffonde con il passaparola. Così come è montato si presta anche ad essere visto in piccole clip tematiche. Andrebbe proiettato e rivisto soprattutto nelle scuole.

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