Ho letto “L’impazienza del cuore” di Stefan Zweig

…nessuna passione sulla terra è più avida, più disperata di quella che è senza speranza: quella dei figliastri di Dio, che possono giustificare la loro esistenza solo perché amano e sono amati.
Centellino gli scritti di Stefan Zweig – sono tantissimi – perché è una lettura affascinante, minuziosa, corroborante. Prima o poi mi dedicherò anche alle sue biografie sui grandi personaggi e alla sua autobiografia Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo. A Salisburgo ho ripercorso i suoi luoghi, ma sono tante le tracce che ha lasciato in tutta Europa, Italia compresa, e in Brasile dove nel 1942 si suicidò con la seconda moglie in circostanze poco chiare. Ebreo austriaco, perseguitato dai nazisti, fine intellettuale, docente, collezionista di manoscritti musicali autografi, umanista, pacifista ed europeista convinto, Zweig è uno personaggi più intriganti della storia della letteratura mondiale.
L’impazienza del cuore è bello fin dal titolo, che dice già molto. Quando mi accosto a un testo di Zweig vado subito a vedere se ne hanno tratto un film, perché è tra gli scrittori più saccheggiati da cinema e televisione. Infatti da questo romanzo sono stati realizzati Felicità proibita, produzione britannica del 1946, per la regia di Maurice Elvey, e La Pitié dangereuse, film per la TV francese del 1979, diretto da Édouard Molinaro, quello di Il vizietto.
La vicenda si svolge nel 1914, qualche mese prima dell’attentato di Sarajevo contro l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria, e sua moglie Sofia, che diede formalmente inizio alla prima guerra mondiale. Viene raccontata in prima persona da Anton Hofmiller, ufficiale dell’esercito austro-ungarico, eroe della prima guerra mondiale per aver spesso messo a repentaglio la propria vita in guerra. Ma questo lo scopriremo solo al termine del romanzo. In realtà il ragazzo era stato spinto contro voglia verso la carriera militare dalla famiglia, una vecchia famiglia austriaca con molti figli per i quali le possibilità di studiare erano date dal seminario o dalla scuola di guerra.
Cominciò tutto da una sciocchezza, una gaffe, come dicono i francesi, assolutamente innocente. Poi venne il tentativo di rimediare al mio errore, ma quando in un orologio si vuole riparare con troppa fretta una rotella, di solito si guasta il meccanismo. Anche oggi, dopo anni, non riesco a stabilire dove finì la mia mancanza di tatto e dove cominciò la mia colpa. Probabilmente non lo saprò mai.
Alla vigilia della guerra, Hofmiller svolge il servizio militare come sottotenente in una guarnigione in una piccola località vicina all’Ungheria. Invitato da un ricco aristocratico nella sua abitazione, un castello che domina dall’alto tutta la zona, conosce Edith, la figlia del proprietario, una eterea sedicenne rimasta paralizzata in seguito a una caduta da cavallo. Mosso da compassione, il tenente Hofmiller comincia a recarsi quasi ogni giorno dai Kekesfalva, questo il nome della famiglia, per tener compagnia alla ragazza. Edith tuttavia equivoca i sentimenti dell’ufficiale e se ne innamora. La disabilità ha reso la ragazza volubile e capricciosa, a volte indisponente. Il padre la asseconda e non le fa mancare nulla, soprattutto il consulto dei medici migliori d’Europa. Intanto, per questo suo impegno disinteressato, Hofmiller viene dileggiato dai compagni della guarnigione.
Chi si è reso una volta ridicolo nell’esercito rimane ridicolo in eterno, non c’è perdono, non c’è oblio.
Il vecchio Kekesfalva, di cui scopriremo strada facendo i trascorsi non nobili e neppure commendevoli, si affeziona al giovane tenente perché vede gli influssi positivi che ha su sua figlia. Hofmiller prova a tenersi discosto dalla ragazza, sempre più invadente nella sua vita: una sofferenza che dura a lungo esaurisce non solo il malato, ma anche la compassione degli altri; forti sentimenti non si possono prolungare all’infinito.
Interessante è il rapporto che si crea tra Hofmiller e il dottor Condor, medico viennese letteralmente assediato da Kekesfalva perché si prenda cura della figlia. Condor ammonisce il tenente a non radicare illusioni nel cuore di Edith e lo mette in guardia dall’esercitare la sua compassione. Ciò che la disabile cerca è amore vero, anche fisico, non compassione. Spiega Condor:
“Ma ci sono due tipi di compassione. L’una, debole e sentimentale, che è una semplice impazienza del cuore di liberarsi al più presto dalla pena per la sventura altrui, non consiste nel soffrire con l’altro, ma è un istintivo allontanare il dolore altrui dalla propria anima. L’altra, l’unica che conta, è la compassione non sentimentale ma creatrice, che sa quello che vuole ed è decisa pazientemente e condividendo il dolore a tener duro fino all’estremo delle proprie forze, e anche oltre”.
Così invita al sacrificio Hofmiller che, sebbene non ricambi l’amore della ragazza, cede alle pressioni e accetta di fidanzarsi ufficialmente con Edith. Poi si pente. Non racconto il resto, ma il fatto che in seguito sia diventato un eroe di guerra lascia intendere molte cose.
Visto che nessuno me la ricordava, dimenticai io stesso la mia colpa, poiché il cuore ha la capacità di rimuovere quello che vuole dimenticare intensamente.
L’impazienza del cuore (Ungeduld des Herzens) è stato pubblicato nel 1939 ed è considerato l’unico vero romanzo di Zweig. Gli altri, inspiegabilmente, sono catalogati solo come racconti.

Sovvertimento dei sensi
Estasi di libertà
Ventiquattro ore nella vita di una donna
Notte fantastica

 

Share this nice post:
Questa voce è stata pubblicata in Libri. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*