Ho visto “Julieta” di Pedro Almodóvar

Dicono che io non abbia la sensibilità (ce ne vorrebbe una tutta femminile) per apprezzare a fondo un film così, incentrato sulla solitudine e i sensi di colpa che portano all’angoscia e a scelte irrazionali. Tuttavia mi attengo alle mie sensazioni e alle mie aspettative per un film di Almodóvar. Ogni regista ha la sua parabola e quella del castigliano di Calzada de Calatrava mi pare alquanto discendente da un lustro a questa parte (il grottesco La pelle che abito è del 2011, l’insulso Gli amanti passeggeri del 2013). Questa volta sceglie la vita così com’è, già piena di eventi tragici, di coincidenze strane, di scelte giuste o sbagliate ma che determinano il futuro di ognuno (le famose sliding doors), per ricamarci oltre. E da par suo delinea grandi ritratti femminili.
La vita di Julieta, giovane insegnante precaria di lettere classiche, è segnata da un incontro in treno con un aspirante suicida. L’uomo è assillante e Julieta non lo considera, anzi lo sfugge. Accanto al treno un cervo corre nella neve, non sarà investito, cerca la sua femmina. L’uomo invece vi si butta sotto consapevolmente. L’evento turba e segna Julieta che in quei pochi istanti incontra Xoan, che fa il pescatore in Galizia, diventerà il suo compagno e le darà una figlia, Antía.
Julieta in età matura sta lasciando Madrid per trasferirsi a Lisbona con il nuovo compagno, il critico d’arte Lorenzo. Ha faticato a dimenticare Antía che se ne è andata di casa appena maggiorenne senza lasciare recapiti. Per anni ha festeggiato il compleanno della figlia da sola, poi ha smesso e si è ricostruita una vita. L’incontro casuale con una vecchia amica di Antía la riporta al passato e alla ricerca di notizie della figlia. Julieta rinuncia al progetto di Lisbona e rimane da sola. Torna a vivere nel palazzo dove aveva abitato con la figlia e inizia a scrivere un diario della propria vita.
La storia è piena di personaggi e di disgrazie: il padre di Julieta tiene segregata la mamma malata e se la spassa con la badante; Ava che è stata l’amante di Xoan prima e dopo la nascita di Antía è un’artista che si ammala di sclerosi; l’amichetta Beatriz, uno dei motivi per cui Antía fugge; Marian, la domestica della moglie defunta di Xoan, il fil rouge tra i vari personaggi, annunciatrice di sventure che affibbia patenti morali a tutti. Ognuno ha un senso di colpa con cui confrontarsi e colpe da addossare ad altri.
Almodóvar narra con continui flashback e a poco a poco la storia si ricompone. Trovo un po’ banale la conclusione, ma forse il regista era stufo di disgrazie. La sceneggiatura è ispirata a tre racconti di Alice Munro, la scrittrice canadese premio Nobel per la letteratura nel 2013, che Almodóvar ha condensato e assemblato. Emma Suárez e Adriana Ugarte, ovvero bravura e bellezza, si avvicendano nei panni di Julieta adulta e giovane. Ma è grandiosa Rossy de Palma (Marian), ‘maschera’ almodovariana fin dai tempi di La legge del desiderio (1987) e Donne sull’orlo di una crisi di nervi (1988).

Share this nice post:
Questa voce è stata pubblicata in Cinema. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*