Noterelle siciliane 3 – Di gatti, di cani, di fiamme, di animali a due gambe

Il treno da Cefalù a Palermo impiega mediamente quarantacinque minuti. Una comodità e un discreto risparmio di tempo per chi non vuole infilarsi con l’auto nel traffico del capoluogo. Ci sono corse a ogni ora, in andata e in ritorno. Di questa stagione ai tantissimi pendolari si aggiungono i numerosi turisti, molti stranieri, coppie, famigliole, giovani in ridottissime tenute estive, tanti zainetti che percorrendo i corridoi sbatacchiano sulle teste di quelli seduti. Non mi soffermerò sulla visita di Palermo, su cui ci sarebbe molto da dire. Passo direttamente all’accaldato viaggio di ritorno, da Palermo a Cefalù, alle 3 del pomeriggio.
Ero appena sistemato quando di fronte a me è venuto a sedersi un tale, trafelato quanto me. Un uomo sopra i cinquanta con una macchia sul volto. Un pendolare deduco, perché appena seduto tira fuori un cartoccio con un panino, una banana e una bottiglietta d’acqua. Forse è appena uscito da un ufficio e consuma il suo pranzo nel viaggio di ritorno a casa. Finisce tutto prima che il treno parta, poi inizia a parlare. Si rivela un tipo socievole, a differenza di me. Forse mi cataloga come prototipo del turista curioso e infila una sfilza di domande: mi è piaciuta Palermo, cosa ho visitato, quanto mi fermo, dove faccio base, dove andrò ancora nei prossimi giorni. “Sa, io sono autista di pullman e porto in giro i turisti per tutta la Sicilia” e così mi suggerisce cose da vedere ad ampio raggio rispetto al mio residence di Cefalù. Silenzio per qualche minuto poi riprende chiedendomi da dove arrivo. “Ah pensi che io ho una nipote a Torino, si è appena comprata un alloggio vicino a quello stadio nuovo”. Ho capito benissimo di che si tratta, ma taccio per risparmiarmi di scoprire che è anche un simpatizzante degli strisciati.
Intanto siamo arrivati alla stazione di Termini Imerese. Dal monte accanto si levano sottili fili di fumo da quattro o cinque punti. “Bastardi” dice. “Forestali di merda, hanno appena appiccato il fuoco, così si procurano il lavoro per tutta l’estate e poi ancora. Primo lo spegnimento, poi la messa in sicurezza dei boschi e infine il rimboschimento. Avranno da lavorare per diverso tempo”. Una piaga per la Sicilia e non solo. Sono giorni di forte scirocco, non a caso i roghi scoppiano quando c’è vento. Il giorno prima dalla spiaggia di Cefalù vedevo calare in mare i Canadair a riempirsi la pancia d’acqua da rilasciare chissà dove. “Ma lo sa come fanno questi criminali a incendiare i boschi?”. Scuoto la testa. “Legano delle stoppie a cani e gatti e danno fuoco. Le povere bestie impazzite corrono dappertutto e intanto incendiano qui e là le sterpaglie. In questo modo non si troveranno neppure gli inneschi”. Resto basito, avevo sentito qualcosa del genere ma mi sembravano leggende metropolitane.
Era il 14 giugno. La mattina del 16 avevo previsto di fare un giro a sud. Lascio Cefalù che i roghi erano spaventosamente vicini e guadagno l’autostrada in direzione Catania. Quella sera avrei dormito in uno splendido baglio vicino a Ragusa e sarei rientrato la sera dopo. Ma in quei due giorni mi ha attanagliato l’ansia per quanto stava accadendo a Cefalù: case bruciate, ospedale evacuato, autostrada, statale e ferrovia chiuse. Un bollettino di guerra ascoltato dall’autoradio. E intanto da giornali e tv scopro che quanto raccontato dall’uomo del treno era proprio vero. Lo denunciano le associazioni animaliste, lo afferma Giuseppe Antoci, presidente dell’Ente Parco dei Nebrodi, giusto un mese prima uscito illeso da un attentato mafioso. Tra le modalità d’innesco dei roghi quella più efferata è dare fuoco ai gatti che correndo infiammano più posti per poi finire bruciati insieme al fuoco che loro stessi hanno alimentato. Non sono i gatti gli animali!

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