Ho letto “Olive Kitteridge” di Elizabeth Strout

Olive è una donna grossa. Ne è consapevole, ma non è sempre stato così, e ancora le sembra di doversi abituare. E’ vero che è sempre stata alta, e spesso si è sentita goffa, ma il fatto di essere grossa si è manifestato con l’età.
Fate silenzio: va in scena la vita! Sono 380 pagine in cui ciascuno può trovare un pezzo di se stesso. Non c’è nulla di straordinario nella vita di Olive Kitteridge ed è per questo che Olive siamo un po’ tutti noi. Il romanzo la coglie già matura – una maestra di matematica dai modi alquanto bruschi – e l’accompagna nell’arco di una trentina d’anni. Con il marito Henry Kitteridge, farmacista e persona estremamente gentile e disponibile con tutti, Olive vive a Crosby, una cittadina inventata situata sul mare del Maine. Hanno un figlio, Christopher, sul quale hanno riposto molte speranze ma che ha finito col diventare un semplice podologo. Ha poi sposato un’autentica arpìa e si è trasferito in California, con gran disappunto dei genitori che gli avevano costruito una casa accanto a loro. Naturalmente il matrimonio è durato poco.
La prima volta Christopher aveva sposato una donna malvagia e prepotente, e adesso ne aveva sposata una gentile e stupida.
Nel corso del loro matrimonio, nella pettegolissima Crosby, Olive ed Henry hanno attraversato momenti difficili. Lei ha civettato con il collega Jim O’Casey, mentre Henry ha perso le bave dietro la sua giovane commessa Denise. Tutto superato, comunque. Il loro rapporto è rimasto forte fino all’ictus subito da Henry. E anche dopo.
Henry pensava che Denise fosse la materia di cui era fatta l’America, perché era il periodo in cui iniziava la moda degli hippy, e leggere su Newsweek della marijuana e dell’amore libero suscitava in lui disagio che una sola occhiata a Denise bastava a dissolvere.
Tradimenti, conflitti e piccoli drammi si sono consumati invece in altre case della cittadina. Tutto raccontato nei vari capitoletti del romanzo che potrebbero essere storie a se stanti se sullo sfondo di ognuno non comparisse la figura di Olive, attenta testimone e a volte vero e proprio filo conduttore delle vicende di Crosby, microcosmo rappresentativo di tutte le debolezze umane.
Ma a un certo punto all’interno di un matrimonio si smette di litigare a quel modo, pensava Olive, perché quando gli anni dietro alle tue spalle sono più di quelli che ti stanno davanti, le cose cambiano.
Olive sopravvive al marito, prova a fare la nonna per i figli di Christopher che nel frattempo si è trasferito a New York. Ma è troppo dura, non è portata. A oltre settantadue anni trova infine rifugio in una nuova amicizia con il vedovo Jack Kennison.
I giovani non sanno che i corpi anziani, rugosi e bitorzoluti sono altrettanto bisognosi dei loro corpi giovani e sodi, che l’amore non va respinto con noncuranza, come un pasticcino posato assieme ad altri su un piatto passato in giro per l’ennesima volta.
Questa è la vita. Grande romanzo. Mi è capitato di leggerlo ascoltando Tom Waits cantare Dead And Lovely, Invitation to the blues, Christmas Card from a Hooker in Minneapolis, Tom Traubert’s Blues, Jersey Girl, Waltzing Matilda, Foreign Affairs… insomma il Waits più intimo e malinconico. Non c’entra nulla, ma mai colonna sonora di una lettura mi è parsa più azzeccata.
Naturalmente un libro così non poteva non finire in un film. Frances McDormand ne ha acquistato i diritti e ha voluto interpretare Olive. E’ diventato una miniserie in quattro puntate andate in onda per l’Italia su Sky Cinema a gennaio 2015. Me la sono persa perché sono poco televisivo e ancora meno seriale. Pare che abbia funzionato. Henry Kitteridge era interpretato da Richard Jenkins (La regola del silenzio), mentre Kennison era Bill Murray.
And it’s time time time
And it’s time time time
And it’s time time that you love
And it’s time time time
Time
– Song by Tom Waits from the album Rain Dogs (1985) 

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