Ho letto “Un doppio sospetto” di Arnaldur Indriðason

Elìnborg fissò la lapide. Poi la luce della torcia si spense e, sentendo il rumore di passi che si allontanavano, capì di essere rimasta sola nel cimitero.
Questa volta Arnaldur Indriðason ci spiazza. Manda l’agente Erlendur Sveinsson in congedo temporaneo, in giro per l’Islanda a cercare di liberarsi dai fantasmi del passato. Le indagini toccano quindi alla collega Elìnborg, mentre l’altro agente del gruppo, Sigurdur Oli, si ritaglia un ruolo soltanto marginale. Si tratta di indagare sulla morte di un trentenne, dedito allo stupro seriale. Un evidente caso di vendetta, in quanto il giovane è stato sgozzato in casa ed è imbottito di Roipnol, il farmaco con il quale annichiliva le sue vittime prima di violentarle. Elìnborg mette nell’inchiesta tutta la sua sensibilità femminile e la delicatezza del caso nell’avvicinare le ragazze che possono essere state oggetto delle attenzioni del maniaco e, ovviamente, arriva alla soluzione. Sullo sfondo dell’inchiesta ci sono paesini sul mare distanti dalla capitale Reykjavik, dove in apparenza non accade mai nulla, e vecchi casi irrisolti di ragazze scomparse.
Per quanto avvincente, come la gran parte dei noir nordici, il romanzo risente dell’assenza di Erlendur e del suo spessore di investigatore ombroso e macerato dal trauma infantile della scomparsa di un fratellino durante una tempesta di neve.
Per contro, Indriðason entra molto nella vita privata di Elìnborg – un marito meccanico e tre figli adolescenti – e una sviscerata passione per la cucina (scrive anche libri di ricette….), in particolare l’indiana. Saranno proprio gli odori, quello d’olio sulla tuta del marito e quello del tandori, la chiave di volta per arrivare alla soluzione del delitto.
Aveva cominciato a guardarsi intorno mentre andava verso il centro, in cerca di giovani donne, meglio se sotto i trent’anni e soprattutto non sobrie. Dovevano aver bevuto, senza però essere troppo sbronze.

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