Il rating S&P è un fischio al naso

La classificazione del rating, probabilmente necessaria quando si parla di soldi e di risparmi, ma sicuramente non imparziale né scevra da condizionamenti politici a quanto stiamo vedendo, mi ha fatto venire in mente il racconto “I sette piani” di Dino Buzzati da cui Ugo Tognazzi ha tratto il film “Il fischio al naso” (1967).
In entrambi, il protagonista – nel primo caso l’avvocato Corte (per un banale disturbo), nel secondo l’industriale Inzerna (per un fastidioso fischio al naso) – entra in una clinica nella quale i pazienti vengono ospitati nei vari piani a seconda della gravità delle loro malattie. Buzzati colloca quelli con i disturbi più leggeri al settimo piano, diversamente da Tognazzi che li mette al primo. Ma la sostanza non cambia: se la malattia si aggrava, o semplicemente c’è la necessità di esami più complessi, si scende o si sale di un piano. Ciò che conta è la psicologia del protagonista: incapace di guardarsi dentro e di analizzare lucidamente la situazione. Il passaggio al piano di quelli che stanno peggio è sempre colpa degli altri, il soggetto è vittima di errori e nulla si può fare. Prima o poi tutto si aggiusterà e si prenderà la strada della guarigione ma intanto la situazione continua a peggiorare.
Noi potremmo chiamare le cliniche di Buzzati e Tognazzi, Standard & Poor’s oppure Fitch oppure Moody’s e metterci dentro i pazienti Francia, Italia o Spagna. Il peggioramento della malattia (il downgrading) è inesorabile. Massì, ce la faremo e poi era già previsto. Ora dobbiamo risalire. Tutt’al più potremo sempre cambiare clinica per farci passare questo maledetto fischio al naso.
Dimenticavo, le cliniche sono di lusso, oltre modo costose….

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