Ho visto “I figli della notte” di Andrea De Sica – TFF Torino 34

Ho lasciato sedimentare qualche giorno la visione di questo film, unica opera italiana in concorso al TFF 34, prima di scriverne. Sono infatti molto critico nei confronti del cinema italiano, ne vedo poco – seguo quel pugno di autori che è necessario vedere – e quelle poche volte rimango deluso. Le recensioni di questo mio blog lo testimoniano. Tuttavia mi rendo conto che bisogna essere indulgenti verso le opere prime quantunque, in questo caso, il giovane regista sia partito avvantaggiato da un cognome che, come si sa, certe volte aiuta. L’appunto che devo fare al cinema italiano è quello di non avere storie da raccontare, tanto meno scritture valide. Basta dare un’occhiata ai film (quelli stranieri) di quest’anno al Torino Film Festival.
Andrea De Sica fa però eccezione perché la storia che racconta sembra avere basi solide e una discreta scrittura, al netto di alcune (perdonabili) ingenuità. In un collegio in Alto Adige (la location è Dobbiaco) vengono spediti rampolli di buone famiglie che verranno temprati attraverso regole ferree per diventare la futura classe dirigente. Ad esempio niente segnale per i cellulari se non due volte al giorno ad orari fissi. In realtà non è così perché l’austero luogo si rivela permeabile ai rotoli di banconote che ogni ragazzo porta con sé. Il giovane Giulio, diciassette anni, appena arrivato lega con Edoardo, ricco, un po’ ribelle e instabile di carattere. Il collegio è isolato in mezzo alla neve e il paese più vicino dista dieci chilometri. A soli tre chilometri, in mezzo a un bosco, c’è un night club che nottetempo i due ragazzi, sfuggendo ai severi (ma non troppo) controlli, iniziano a frequentare. In realtà, come si apprende dagli educatori, anche quelle maglie lasciate larghe e le conseguenti trasgressioni alle regole fanno parte del programma formativo previsto dalla scuola. Giulio scopre così i piaceri del sesso, si innamora di una giovane entraineuse e inizia a frequentarla anche al di fuori del locale. Fin troppo prevedibile è la sua voglia di redimere la prostituta e fuggire con lei abbandonando il collegio.
Giulio ed Edoardo sono seguiti da Mathias, un educatore che sembra conoscere bene la psicologia dei ragazzi essendo transitato anche lui come allievo del collegio. Notando l’eccessivo attaccamento tra i due, Mathias mette in guardia Giulio dalla personalità disturbata di Edoardo e cerca di convincerlo a legare anche con altri compagni.
La trama sconfina nella tragedia, ma per sistemare le cose ci sono pur sempre le banconote di cui sopra.
Andrea De Sica a mio parere calca la mano sul clima da bullismo (o nonnismo) tra i ragazzi e trascura l’atmosfera cupa, da prigione, che dovrebbe esserci nel collegio. Poi ci sono alcuni stereotipi: la volontà di redimere la prostituta, come già detto, ma questa resta sempre tale, anche nell’animo; i soldi che sistemano sempre tutto; le famiglie ricche e disastrate e la conseguente solitudine dei figli. Non uso, anzi detesto, l’espressione ‘storia di formazione’ o, come nei libri ‘bildungsroman’, ma questa sembra essere stata la volontà del regista. Meglio usare la definizione di favola nera. Attendo il figlio di Manuel e nipote di Vittorio De Sica ad altri lavori.
Non so che sarà dei giovani interpreti, se diventeranno oppure no degli attori controfiocchi. Mi preme segnalare però la presenza nel cast di Fabrizio Rongione (Mathias), attore belga di origine italiana molto caro ai fratelli Dardenne (La ragazza senza nome, Due giorni una notte, Violette, Diaz, Il ragazzo con la bicicletta, il matrimonio di Lorna).

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