Ho letto “Italia allo sbando” di Augusto Grandi

Leggere questo libro di Augusto Grandi alla vigilia del referendum è stato illuminante. Non che abbia spostato di un millimetro le mie intenzioni di voto, ma mi ha fornito in un’unica soluzione uno sguardo complessivo sul nostro Paese, un compendio delle cose che vanno (poche) e che non vanno (molte). Fatta la tara delle diverse opinioni politiche (provenienze, frequentazioni distanti) è difficile non dare ragione alle sue considerazioni, posto che i dati e le informazioni di cui dispone – lui che che è giornalista del Sole 24 Ore – sono ineccepibili. Allora si può ben dire che questa Fotografia di un declino, parafrasando pensatori assai più illustri, nasce dal ‘pessimismo della conoscenza’.
Nel suo pamphlet Augusto Grandi non fa sconti a nessuno, tanto meno ai suoi amici industriali: Perché produrre in Italia, dove si devono pagare i dipendenti, se si può andare a produrre in Paesi dove la schiavitù è un privilegio? Ad esempio in Cina, salvo poi portare i capi d’abbigliamento in Italia dove, però, si aprivano le asole, si tagliavano i fili in eccesso e si collocava l’etichetta del Made in Italy.
L’ascensore sociale nel Bel Paese non funziona più, dice Grandi, e le prospettive sono pessime: Dopo la fuga dei cervelli si assiste ormai a quella delle dentiere alludendo alle schiere di pensionati che si rifugiano all’estero per vivere, piuttosto che sopravvivere  qui con l’indecente pensione italiana. Ma il futuro è brutto per tutti e per l’Italia dei furbetti l’unica prospettiva è la povertà.
La soluzione potrebbe essere ‘fare sistema’, ma c’è una scarsa propensione nazionale: ciascuno per sé e lo Stato per tutti. Peccato che lo Stato, un tempo grande foraggiatore del sistema industriale, si stia trasformando nella grande sanguisuga.
Grandi usa soprattutto il fioretto dell’ironia per esprimere meglio i suoi concetti e così, a posteriori dopo il voto, fa sorridere amaramente leggere di Matthew e di Jobs Act, di ‘giglio tragico’ e di capitani coraggiosi che si sono fatti affidare, per un pezzo di pane, le concessioni pubbliche nei settori protetti.
Impresa, agricoltura, sindacato, turismo, cultura, informazione, scuola passano sotto la lente implacabile e dissacrante dell’autore. Le scuole tecniche abbandonate, ad esempio. Tutt’al più va bene l’alberghiero, sognando di trasformare lo scofanatore di fish&chips in uno chef stellato come quelli seguiti in tv. E nello scenario scolastico preoccupante del nostro Paese, Augusto Grandi infila anche la ‘generazione Erasmus’, una piccola minoranza sul totale dei giovani, un bluff, una bolla inventata dai media di servizio.
Dati alla mano smitizza anche le ‘start up’, una moda effimera, con percentuali di sopravvivenza a 5 anni dalla nascita decisamente sconfortanti. Non resta che la fuga all’estero: la media è 5 cervelli italiani in uscita per uno in ingresso.
E che dire del turismo? Quello che è e ciò che potrebbe essere. Dalla cementificazione della Liguria (scortesia degli operatori turistici e prezzi eccessivi compresi) al mancato decollo del turismo nelle regioni del Meridione. E tanti giovani senza lavoro si improvvisano baristi e ristoratori – ultima spiaggia – grazie al tesoretto messo da parte da genitori e nonni. Tanto poi ci penseranno la Guida Michelin e Tripadvisor.
Gli ultimi strali di Augusto Grandi sono lanciati verso il vero cancro di questa società: il politicamente corretto.
E, da buon borghese quale lui è, se la prende anche con il suo mondo.
Ora il buon borghese piccolo piccolo è diventato microscopico. Ignorante, vile, privo di qualsiasi valore e di ogni sorta di idee. Incapace di educare i figli, incapace di affrontare la separazione di una moglie che ha tutte le ragioni a rifiutarlo, incapace di lavorare, incapace di pensare. Le idee gliele fornisce la tv perché ormai anche il giornale è diventato troppo difficile.
Insomma, non c’è proprio speranza.

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