Ho visto “E’ solo la fine del mondo” di Xavier Dolan

Annotatevi questo nome, Xavier Dolan, se già non lo avete fatto, scoprendolo magari con Tom à la ferme. E’ un genietto del cinema canadese – già bambino prodigio come attore – con sei film all’attivo come regista a soli ventisette anni. Conteso da tutti i festival del mondo, con questo film ha vinto il premio speciale della giuria a Cannes 2016 e ora rappresenta il Canada nella corsa all’Oscar per il miglior film straniero 2017. Dichiaratamente gay, Dolan in tutti i suoi film mette molta autobiografia, come in Juste la fin du monde, in cui uno scrittore fa ritorno a casa da dove manca da dodici anni. Per questa sua attitudine forse non capita Louis aveva abbandonato la famiglia e perseguito una sua strada che lo ha portato al successo. Ora è un malato terminale che torna a casa per annunciare con decisione la propria imminente morte, ma anche con molto timore di non essere capito per l’ennesima volta.
Lo attendono – si fa per dire, perché ognuno per motivi diversi preferirebbe rimandare questo incontro – la mamma Martine svolazzante nel suo trucco blu (“io non ti capisco, ma ti voglio bene”), il fratello maggiore Antoine che con l’aggressività verbale e non solo dimostra il suo rifiuto (“io non voglio sapere cosa ci fai qui”), la sorellina Suzanne che aveva lasciato bambina e per la quale nutre il profondo rimpianto di non averla vista crescere. Penosi sono gli sforzi di riportare il clima a quello sereno della loro infanzia. Attorno al desco, in giardino, nelle varie stanze della casa si ingaggiano invece delle battaglie verbali – anche dei veri e propri corpo a corpo – in cui ognuno ha qualcosa da recriminare e da rinfacciare all’altro. Sono persone che ormai non si conoscono più. Louis si aggira per casa, tocca e osserva oggetti e fotografie che lo riportano ad un’età in cui è anche stato felice (“rimpiango il tempo che abbiamo sprecato, che io ho sprecato”). Più volte cerca di iniziare il suo discorso (“ho una cosa da dirvi”) ma viene sempre interrotto e se ne allontana. Unica persona ad avere la sensibilità di accorgersi che qualcosa in Louis non va è la cognata Catherine. Abituata al silenzio da un marito brutale, osserva e guarda dentro le persone. Il tacito scambio di sguardi tra i due, che non si sono mai visti prima, è il dialogo più eloquente di tutto il film. Louis non riuscirà a parlare alla famiglia e ripartirà avendo affidato alla silenziosa complicità di Catherine il suo messaggio finale.
C’è qualcosa di speciale nel cinema canadese, in particolare quello québécois e soprattutto nei dialoghi. Ne ho avuto conferma anche al recente TFF dove ne sono stati proiettati diversi, cito per tutti Le Fils de Jean di Philippe Lioret, in realtà una produzione franco-canadese. Seguo con ammirazione il cinema canadese fin da Il declino dell’impero americano (1986) diretto da Denys Arcand. Anzi, prima ancora con Le jour S… un film di Jean Pierre Lefebvre che, visto a Cannes nel 1984, mi aveva intrigato molto. Era interpretato da quel Pierre Curzi poi attore di Denys Arcand e molto più tardi uomo politico canadese.
Tornando a È solo la fine del mondo, i dialoghi sono forti e a tratti fastidiosi, ma necessari alla storia e per dare evidenza a rapporti deteriorati e non più recuperabili. Sono intense tutte le interpretazioni: Gaspard Ulliel-Louis, in cui si riconosce qualche tratto dello stesso Dolan, Nathalie Baye, Léa Seydoux, Vincent Cassel, Marion Cotillard (meravigliosa, come sempre). Simbolicamente svolazza per casa l’uccellino che fuoriesce dall’orologio a cucù, stramazza al suolo con l’uscita di casa di Louis e muore dopo un ultimo battito d’ali.

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