Ho visto “Lion – La strada verso casa” di Garth Davis

Con Lion, film del debuttante regista australiano Garth Davis tratto dal libro di memorie La lunga strada per tornare a casa in cui si raccontano le vicissitudini di Saroo Brierley scritte a quattro mani con Larry Buttrose, si registra l’ennesima prova convincente di Dev Patel, ormai un divo del cinema internazionale. Aveva esordito diciottenne nel 2008 con il premiatissimo The Milionaire di Danny Boyle, a cui hanno fatto seguito i due Marigold Hotel e Ritorno al Marigold Hotel, infine il riuscitissimo biopic L’uomo che vide l’infinito.
Lion ha inizio nel 1986 quando il piccolo Saroo di soli cinque anni si addormenta su un treno fermo nel distretto indiano di Khandwa e si ritrova giorni dopo, tra paure e morsi della fame, a Calcutta oltre 1500 chilometri da casa. Aveva voluto seguire il fratello per un lavoro non lontano ma poi si era addormentato e non l’aveva più ritrovato.
A Calcutta finisce tra i mendicanti di strada e prima che qualcuno si accorga di lui in positivo deve penare per sfuggire ai trafficanti di bambini che imperversano per le strade dell’India. Per Saroo è impossibile spiegare la propria provenienza o fornire il nome della famiglia: si esprime con pochi vocaboli in bengalese laddove tutti parlano hindi. Dopo mesi di orfanotrofio, dove se non altro ha la possibilità di mangiare e vestirsi, viene adottato da una coppia australiana, Sue e John Brierley, e comincia una nuova vita. Con lui è arrivato anche un altro orfanello indiano, Mantosh, un bambino difficile che diventa per Saroo un fratellastro tanto amato quanto problematico.
Venticinque anni dopo, lasciato Saroo bambino (il piccolo Sunny Pawar), ritroviamo Saroo adulto (Dev Patel) trasformato in un cittadino australiano, laureato, fidanzato con Lucy (Rooney Mara), circondato da amici, molti dei quali di origine indiana come lui. Che sia totalmente integrato nella nuova patria è dimostrato dalla risposta alla domanda degli amici “per chi faresti il tifo nell’incontro di cricket tra India e Australia?”.
Poco alla volta il ragazzo inizia a porsi delle domande sulle proprie origini e qualcuno gli suggerisce di usare Google Earth per avvicinarsi a una possibile risposta. Saroo si intestardisce nella ricerca, inizialmente non compreso dai genitori adottivi.
La sceneggiatura segue i progressi della ricerca fino al fatidico viaggio in India verso il villaggio dove è nato, di cui ha individuato le coordinate esatte. L’incontro è avvenuto nel febbraio del 2012. La madre è ancora viva e non ha mai perso la speranza di ritrovarlo un giorno. C’è pure la sorella, ma Saroo apprende che il fratello Guddu è morto sotto un treno nella stessa notte in cui si era perso. Infine, sui titoli di coda, appaiono le immagini dei veri personaggi della storia e dell’incontro in India con la madre biologica. Grande è la somiglianza di Nicole Kidman e David Whenam con i veri Sue e John Brierley. In fondo, da una storia vera ci si aspetta anche questo tipo di imprimatur cinematografico. Un reale lieto fine per un film di sapore natalizio, senza essere un cinepanettone.

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