Ho letto “Paradise Sky” di Joe R. Lansdale

La sorpresa più grande è stata scoprire a posteriori – cioè dopo aver letto il romanzo – che Willie Jackson alias Nat Love alias Deadwood Dick è realmente esistito e non è solamente il frutto della fervida fantasia di Lansdale. Con l’ultimo pseudonimo ha anche lasciato un’autobiografia – The Life and Adventures of Nat Love – dalla quale e dalla ricca bibliografia che lo ha riguardato, Lansdale ha ricavato Paradise Sky.
Willie era uno schiavo afroamericano nel Texas orientale, emancipato dopo la Guerra di Secessione. Da ragazzo ha avuto la sventura di guardare il sedere di una donna bianca che stendeva i panni. Suo marito, Sam Ruggert, ex soldato sudista e feroce razzista, decide di sanare lo sgarbo con il linciaggio. Per questo raduna un gruppetto e gli dà la caccia. Willie racconta tutto al padre che, sapendo con chi ha a che fare, gli consiglia di scappare e mettersi in salvo. Di ritorno a casa il ragazzo scopre che la famiglia è stata sterminata e la fattoria distrutta. Si lascia tutto alle spalle e parte alla ricerca di un posto in cui costruirsi una vita. Trova subito lavoro e affetto non lontano, presso un brav’uomo, un fattore di nome Loving. Da lui Willie resta qualche anno imparando tante cose sulla terra, le coltivazioni, l’allevamento degli animali, insomma Loving ne fa un esperto contadino. Ma gli insegna anche a leggere e scrivere e a sparare, pratica in cui Willie si distingue particolarmente. Le sue giornate scorrono sotto la protezione di Loving ma sempre con il timore che il feroce Ruggert ricompaia e compia la sua insana vendetta. Alla morte del vecchio fattore, Willie eredita cavalli e armi nonché l’assicurazione che quando l’avvocato avrà venduto tutti i beni il ricavato sarà suo. Muta nome in Nat Love, si sposta verso ovest e si arruola in un reggimento di Buffalo Soldiers, formato da nativi americani e neri, distinguendosi sia nel cavalcare che nell’uso delle armi.
Siamo ancora all’inizio delle avventure perché Ruggert non ha mai rinunciato al suo proposito e lo cerca dappertutto. Il romanzo è pressoché diviso in due parti. Nella prima è Ruggert che dà la caccia a Willie/Nat Love che nel frattempo, dopo molte peripezie, ha trovato una certa stabilità di lavoro e di affetti.
La seconda parte è dedicata alla caccia che Nat Love, divenuto Deadwood Dick dal nome della località del South Dakota in cui si è stabilito, intraprende nei confronti di Sam Ruggert dopo che questi gli ha distrutto tutto ciò che aveva di più caro. E’ l’America del razzismo più bieco e feroce – quando si diceva che l’unico Indiano buono è un Indiano morto – ma è soprattutto l’epopea del west, dei saloon e dei grandi pistoleri, personaggi che bene o male ne hanno fatto la storia, come James Butler “Wild Bill” Hickok che onora Deadwood della sua amicizia.
Il fumo di pipe, sigari e sigarette aveva saturato l’aria e attraversava la sala in piccole nuvole grigie. Il pianista picchiava duro sul pianoforte, non più intonato o consapevole dell’intonazione rispetto alle altre volte. C’era una nuova cantante, ma anche lei, come la moglie del pianista, non avrebbe beccato una nota neppure se avesse avuto un remo in mano…
C’è di tutto nel romanzo, dagli Apache ai minatori, dai giocatori d’azzardo alle prostitute cinesi, dai cacciatori di taglie ai cowboys. Per Joe R. Lansdale è un gioco da ragazzi maneggiare tutta questa materia e farla diventare uno splendido romanzo, forse il più bello, saga di Hap&Leo a parte. E paradossalmente, nonostante i tantissimi morti ammazzati, è uno dei libri meno cruenti, per le descrizioni, dell’intera produzione dello scrittore texano (che, mi piace ricordare, è mio coscritto).

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