Ho letto “La seconda vita di Francesco d’Assisi” di José Saramago

Questo splendido volumetto (certo per definirlo tale occorre amare Saramago…) raccoglie quattro testi teatrali, uno più bello dell’altro, scritti tra il 1978 e il 1993. Un solo altro dramma, Don Giovanni, o Il dissoluto assolto, fu scritto nel 2005 e pubblicato separatamente.
A dare il titolo a questa raccolta è La seconda vita di Francesco d’AssisiLo scrittore portoghese lo concepì dopo una visita ad Assisi, nel corso della quale fu colpito dalla visione di due francescani impegnati dietro un bancone a vendere oggetti ricordo: santini, rosari, libri, stampe, crocifissi. Quelli che prima chiedevano, adesso vendono, quelli che prima rinunciavano, adesso accumulano, si disse Saramago.
Un cortocircuito che potremmo anche non condividere, ma che gli ispirò questo testo, in cui immagina Francesco ricomparire ai giorni nostri per mettere in riga i suoi confratelli, organizzati in una società con tanto di consiglio d’amministrazione, presidente (Elia), direttore generale (Pietro, il padre di Francesco), capo delle segretarie (Pica, la madre). I frati sono trasformati in agenti, che vanno per il mondo a vendere speranza, fede, carità.
Elia: La prima qualità di un capo è sapere quando deve porre fine a un dibattito e avocare a sé la responsabilità della decisione.
L’arrivo non previsto di Francesco mette tutti in subbuglio, in particolare il presidente. D’altro canto il ‘poverello’ non impiega molto a capire come vanno le cose: Il mondo è cambiato perché noi non abbiamo saputo cambiare in altro modo il mondo. Ora dovremo cambiare noi stessi perché il mondo possa essere cambiatoPerò qui non vedo sorella povertà, né so dove si sia nascosta, per vergogna, la carità.
Per riprendere in mano la situazione Francesco deve adeguarsi ai nuovi sistemi, farsi nominare in consiglio e all’interno cercare i voti per farsi eleggere presidente. Obiettivo è distruggere la compagnia, un tempo si chiamava capitolo: Se non è possibile togliere il veleno al serpente, si uccida il serpente.
Il testo più intrigante è La notte, due atti che furono commissionati a Saramago per ricordare la ‘Rivoluzione dei garofani’ che il 25 aprile 1974 depose il dittatore portoghese  António Salazar. L’azione si svolge nella notte precedente nella redazione di un giornale filogovernativo in cui si annidano pericolosi elementi sovversivi (il redattore della provincia, una praticante, tutto il reparto tipografia). Sono questi che si battono affinché il giornale esca con l’anticipazione di quanto sta per succedere nelle piazze e non con una versione edulcorata dal Controllo preventivo (la censura praticata dai militari). La notte descrive le schermaglie fino all’avvio delle rotative per la stampa dell’edizione definitiva.
Dice il linotipista Afonso, rivolto al direttore: Abbiamo composto tanti giornali passivamente, a volte piangendo di rabbia, abbiamo trasformato la vergogna in righe di piombo, e abbiamo fuso le righe di piombo in attesa che arrivasse il giorno in cui avremmo composto nuove righe. Righe nuove, capisce? Quel giorno è arrivato. E’ oggi.
Gli altri due testi sono di carattere storico. Cosa ne farò di questo libro? fu scritto nel quarto anniversario della morte del poeta Luís de Camões (1980), l’autore del poema I Lusiadi, considerato la massima opera delle letteratura lusitana. Saramago vi racconta il ritorno di Camões dall’India, vecchio e malato, con il manoscritto della sua monumentale storia del Portogallo in versi e le difficoltà incontrate per farlo pubblicare. Deve superare la censura affidata alla Chiesa, deve trovarsi uno sponsor che faccia da garante per pubblicare l’opera, deve soprattutto trovare i soldi. Ma neppure il casato di cui canta le gesta lo aiuta. Solo Francesca d’Aragona lo prende a benvolere, ma non basta. Dice il poeta: Il mio libro è come una barca su cui molti vogliono navigare, purché non vi si imbarchino gli altri. Se il re mi vuole, non mi vuole il cardinale; se mi vuole il cardinale, probabilmente non mi vorrà la regina; se la regina dice sì, le Camere diranno no.
Infine il quarto elemento della produzione teatrale di Saramago è In Nomine Dei. E’ ancora la religione protagonista, con la vicenda di Münster del XVI secolo, quando anabattisti e cattolici lavarono nel sangue le loro divergenze dottrinali. Come dice Saramago, vi viene descritto un tragico capitolo dell’intolleranza umana. La scena si apre al crepuscolo, con il suolo ricoperto di cadaveri, uomini e donne. I soldati cercano chi dà ancora segni di vita per finirlo con una pugnalata. Il movimento anabattista prese il controllo della città con la forza nel rigido inverno del 1534. L’apostolo anabattista Matthys: Usate il fuoco, usate la scure, usate il martello, che non resti neppure una sola parola menzognera, nessuna finzione di pietra, nessun inganno dipinto. Nella follia dei rivoltosi vennero promulgate leggi assurde in nome di Dio: Tutte le persone nubili sono obbligate a contrarre matrimonio, le donne nubili accetteranno per marito il primo uomo che le chiederà. (Mi ricorda quasi la distopia fantascientifica del film The Lobster – 2015, di Yorgos Lanthimos). La rivolta di Münster comunque durò poco più di un anno e mezzo e terminò con la stessa violenza con cui era cominciata, ma di segno opposto.
Il testo è molto cruento.
Tutte le opere teatrali di José Saramago sono state più volte rappresentate e lo sono tuttora, anche in Italia, segno dell’innegabile attualità delle storie. Ma di In Nomine Dei si è occupato anche il compositore ciriacese Azio Corghi (collaboratore di Saramago in varie occasioni) che compose Divara (Wasser und Blut) (1993), dramma musicale in 3 atti. Divara era la moglie di Jan Van Leiden, anabattista e dopo la rivolta ‘re’ di Münster. Grazie a Spotify ne ho ascoltato alcuni passaggi mentre leggevo il dramma di Saramago. Esperienza piuttosto forte.

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