Perché non ripensare la festa di San Giovanni?

Scrivo a poche ore dai fuochi d’artificio di stasera, ma questo pensiero mi frulla per la testa da settimane. Che senso ha ammucchiare migliaia di persone in una piazza per assistere ai fuochi d’artificio? Tanto più in una situazione blindata e (forse) di scarsa serenità. Ormai è sempre lo stesso spettacolo da anni e anni. Mi si obietterà che lo spettacolo pirotecnico è sempre diverso e allora rispondo che se non è zuppa è pan bagnato. E guardate che la mia non è una riflessione nata dopo i tragici accadimenti del 3 giugno e neppure è dettata dalla paura di attentati, che pure avrebbe ragione d’essere. In realtà io in piazza mi annoio – dopo esserci andato per tantissimi anni, più per lavoro che per diporto – ed evito accuratamente gli assembramenti di popolo proprio perché la cosa mi annoia.
La mia riflessione vuole andare in un’altra direzione. Non sarebbe il caso di ripensare l’insieme degli eventi organizzati per la festività di San Giovanni? Ogni cosa si ripete allo stesso modo, ineluttabile come la morte. Passi per quelle poche incombenze religiose doverosamente legate al santo patrono, ma il pane della carità, la carnevalata dell’accensione del farò e la catasta che cade da un lato o dall’altro, gli stessi fuochi d’artificio che senso hanno? Si dirà: la tradizione. Ah, la tradizione! Ma quante nefandezze si compiono nel nome della tradizione?
La mia proposta è semplice. Provare altre strade, cercare altre ragioni per celebrare la ricorrenza del 24 giugno. Penso ad una festa patronale diffusa per l’intera città, non più solo in centro ma articolata in tanti eventi nei quartieri: musica di ogni genere, teatro, circo, animazioni, coinvolgendo nell’organizzazione le associazioni che certo non mancano. Capisco già l’obiezione: meglio dare ‘panem et circenses’ al popolo in un’unica piazza e tenerlo così più facilmente sotto controllo. Capisco pure che è più facile ripetere indefinitamente la stessa cosa che non farsi venire delle idee nuove. Io intanto lancio il sasso nello stagno, pur consapevole (anzi, ne sono quasi certo) che la richiesta di novità non verrà raccolta ma respinta con perdite.
Concludo confutando la possibile osservazione secondo la quale sarei un nemico dei fuochi d’artificio. Invece no, mi emozionano ancora come quando ero bambino. Tanto è vero che nel 1995 mi sono letteralmente inventato la diretta televisiva da piazza Vittorio per la mia emittente di allora. Erano tempi in cui la Rai, ingabbiata nei suoi palinsesti, ancora non ci pensava. Io volevo dare la possibilità a quanti erano fuori città di vedere i fuochi. Lusinghieri i dati di ascolto, anche se la resa televisiva era lungi da essere paragonabile allo spettacolo dal vivo. Ma mi interessava il salottino allestito il più possibile a ridosso del Po, con le interviste fatte prima e dopo. Altri tempi. L’emittente ha continuato per anni a riproporre la diretta sempre con la stessa formula, fino a rendere essa stessa ripetitiva e quindi poco interessante. E’ il contesto che rende diversi e appassionanti i fuochi.

La foto che pubblico è di mio padre Alessandro, scattata nel 1961 per una delle tante serate di fuochi di Italia ’61.

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