Sarà paradossale ma devo a Vincenzo Consolo la scoperta di Paolo Chicco. Da un anno sono affascinato dagli scritti dell’intellettuale siciliano scomparso nel 2012 e la scorsa estate mentre ero in vacanza a Cefalù leggevo i suoi libri (alcuni lo sanno, a me piace contestualizzare le letture nei luoghi in cui sono in viaggio, o viceversa, se vogliamo). In Sicilia avevo visto numerosi annunci di presentazioni del libro precedente di Chicco, Le mura di Tramontana. Avvocato penalista di Torino, mio coscritto tra l’altro, da quarant’anni innamorato della Sicilia, evidentemente era in tournée per promuovere il suo libro. Come sempre sottovaluto e trascuro gli autori italiani contemporanei, così non ci pensai più. Poi qualche settimana fa ho visto questo volumetto appena uscito, che nel sottotitolo citava Mozia, il sito fenicio nello Stagnone di Marsala della cui esistenza, nella mia profonda ignoranza, avevo appena appreso proprio dai libri di Vincenzo Consolo. Così mi sono deciso, anche se avrei dovuto leggere prima il precedente perché i due romanzi sono collegati.
A Paolo Chicco piace vincere facile, perché le sue storie sono di ambiente giudiziario. Quindi conosce bene tutte le sfumature di quel mondo, così come mostra una grande dimestichezza con i luoghi siciliani, in questo caso la provincia di Trapani.
In Strabismo di Venere non ci sono morti ammazzati. La vicenda riguarda uno stupratore seriale. L’importante è assicurare alla giustizia un colpevole e così tranquillizzare l’opinione pubblica. Un colpevole c’è, Pippo Lo Curto, ma l’unica persona a non essere convinta è un ispettore di polizia, Rachele Dioguardi, che però non ha funzioni investigative ma semplicemente deve fare da scorta personale al giudice Antonio Voce, nuovo presidente, facente funzioni, della prima sezione penale del Tribunale di Trapani. La ragazza è sveglia e intraprendente, arriva dal nord ed è ancora immune dai condizionamenti ambientali che la Sicilia inevitabilmente le farà crescere addosso.
Ed eccola qui, alla fine del suo giorno di riposo, trascorso tra le rovine millenarie di Mozia, fantasticando su quattro pietre che le parlavano di origini che non le appartenevano, in attesa di riprendere il suo lavoro di autista e scorta del giudice Antonio Voce.
La ragazza proprio a Mozia vede qualcosa che potrebbe dare una svolta all’imminente processo, ma non avendo titolo decide di indagare sottotraccia, tutt’al più dovrà decidere se e come utilizzare le sue informazioni. Il problema è per lei indirizzare l’istruttoria verso la pista giusta senza dover necessariamente apparire.
Nella vicenda giostrano personaggi di varia e divertente umanità, ovviamente magistrati, avvocati desiderosi soltanto di apparire, giornalisti impiccioni, imputati e vittime, come pure i periti esperti in questioni molto particolari: E dove la dovrei trovare una dottoressa esperta in… membri? Non mancano la rivalità tra polizia e carabinieri né, come in ogni palazzo di giustizia, i ‘veleni’ e le lotte di potere.
Certo la storia dei carabinieri che facevano minchiate potevo tenermela per me. Capace che domani qualche giornalista la riporta e quelli mi chiedono conto e ragione. Potevo starmene zitto che tanto a sputtanarsi ci pensano da soli.
Il divertimento di Paolo Chicco nello scrivere queste cose è evidente. Il romanzo è scorrevole e gratifica il lettore di una visione insolita della Sicilia.
Se un appunto posso muovere all’autore è quello di eccedere negli stream of consciousness di ‘joyciana’ memoria o monologhi interiori o, come vengono definiti nel gergo teatrale, gli ‘a parte’. Se sono giustificati, quantunque sovrabbondanti, per la protagonista Dioguardi, diversamente non lo sono per tutti gli altri personaggi e si dimostrano una mera scorciatoia.
aprile 2024 L M M G V S D « Mar 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30