Ho letto “La sconosciuta” di Camilla Grebe

L’amore e la bellezza sono fugaci.
La merda è eterna

Dalla feconda fucina del noir scandinavo è uscita ora questa quasi cinquantenne svedese, al suo primo romanzo da sola dopo averne prodotti alcuni in condominio con la sorella Åsa Träff e con Paul Leander-Engström (un paio già tradotti in Italia e pubblicati da Piemme). Prima di addentrarmi nella storia, annoto che il titolo italiano è banale e poco indicativo di quanto si leggerà. Indirizzano meglio (il libro è già tradotto in venti lingue) quello inglese, The Ice Beneath Her, e quello francese, Un cri sous la glace.
La storia è ambientata a Stoccolma in dicembre, quando manca poco a Natale. Ciò significa niente sole, molto buio, ombre, tanta neve e ghiaccio dappertutto.
La venticinquenne Emma Bohman, commessa in un grande store d’abbigliamento, cela alle sue stesse colleghe una storia d’amore con il big boss di un impero della moda, Jesper Orre, un donnaiolo spietato nel lavoro, con il quale è alle soglie del fidanzamento. Qualche tempo dopo Jesper sparisce lasciando come unica traccia, nella propria elegante casa, il cadavere decapitato di una giovane donna. La sconosciuta, appunto. Sul fatto indaga l’agente Peter Lindgren, coadiuvato da una psicologa esperta in criminal profiling, Hanne Lagerlind-Schön.
Indipendentemente dal numero delle coperte che mi impilo addosso, non riesco a scaldarmi. Il freddo si è impossessato di me, credo. Come un abusivo, ha traslocato nel mio corpo e rifiuta di andarsene.
L’originalità del libro – e qui si discosta dalla maggior parte dei gialli scandinavi – sta nella costruzione. I tre personaggi – Emma, Peter, Hanne – raccontano la storia dai loro tre punti di vista e questo consente a ciascuno abbondanti digressioni sulle proprie esistenze. Apprendiamo così che Emma per tutta l’infanzia e l’adolescenza ha avuto notevoli problemi con i genitori, ormai defunti, entrambi alcolisti; che Peter, ora cinquantenne, ha alle spalle una convivenza che gli ha dato un figlio che peraltro non ha mai voluto riconoscere dopodiché si è guardato bene dall’allacciare storie durature; che ad Hanne, alle soglie della sessantina, hanno diagnosticato una prossima demenza senile che si guarda bene dal rivelare. Altra particolarità è che Camilla Grebe ci fa scoprire l’intera vicenda alternando i capitoli tra il presente e il recente passato (due mesi prima, un mese prima, tre, due, una settimana prima) fino a far esplodere nel lettore la tensione accumulata. Il meccanismo è perfetto. Ormai lo sappiamo da tanti noir scandinavi che abbiamo letto: il freddo e il buio generano suspense. E nonostante si mescolino ossessioni, vendette, follie (e un gatto che sparisce senza motivo…) e si aggiungano cadaveri, l’autrice non perde mai la strada della verosimiglianza.
E’ così che mi immagino l’eternità. Tutto è bianco, silenzioso e dai contorni sfumati. E il freddo, sempre presente, per qualche ragione non dà nessun fastidio.

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