Ho visto “Neve nera” di Martin Hodara

Sempre bei film da Movies Inspired e al cinema Classico di Torino che li propone. Lo dicevano anche alcuni spettatori giusto ieri sera davanti alla sala prima di entrare. Film non di cassetta, piccoli tesori di nicchia, autori e cinematografie sconosciute, ma sempre molto interessanti. Come produzioni islandesi, rumene, argentine come questo Neve Nera che ha in Ricardo Darìn (Cosa piove dal cielo, Storie pazzesche, Truman) l’attore di spicco.
Il dramma, perché di un dramma si tratta, si svolge come nelle migliori tradizioni all’interno di una famiglia. Una famiglia di proprietari terrieri in Patagonia che quarant’anni prima ha vissuto una tragedia durante una battuta di caccia in cui è morto il piccolo Juan che vi partecipava con i fratelli più grandi e il padre. Ora è mancato il capofamiglia e allo chalet nella tenuta, dove vive in una sorta di esilio volontario il fratello maggiore Salvador, è arrivato l’altro fratello, Marcos accompagnato dalla giovane moglie Laura, per seppellire, come da sue ultime volontà, le ceneri del padre nel bosco accanto alla sepoltura di Juan. Nella famiglia c’è anche Sabrina, una sorella da anni ricoverata in un istituto psichiatrico. La vera mission di Marcos tuttavia è la vendita dell’ingombrante e poco redditizia proprietà. C’è la proposta di acquisto per molto denaro da parte di una compagnia petrolifera, caldeggiata anche da un avvocato-commercialista amico del loro padre. Ma la vendita è osteggiata da Salvador che ha sempre vissuto in quei luoghi e non intende rinunciarvi. I due fratelli non si frequentano da tantissimi anni né si sono più parlati dai tempi dell’adolescenza. La ruggine tra loro – lo apprendiamo dai continui flashback – risale proprio ai tempi dell’incidente al piccolo Juan. Quindi è difficile mettersi d’accordo sull’eredità. Laura assiste attonita al crescendo di violenza tra i due mentre riemergono terribili segreti di famiglia da sempre rimasti nascosti tra quelle gelide montagne.
Far risalire i traumi di oggi a tragedie del passato mai chiarite e rimaste sopite all’interno di una famiglia è un artificio che la letteratura e il cinema hanno utilizzato molto. Mi viene in mente il bel libro di Elizabeth Strout, I ragazzi Burgess, in cui tre fratelli Jim, Bob e Susan si sono tenuti il segreto della morte del padre ben oltre la loro età adulta. Poi quel muro di sensi di colpa e complicità finalmente si sgretola e viene fuori la verità.
Il cinquantenne regista argentino Martin Hodara, come detto, utilizza molto i flashback per fare luce sulla torbida vicenda, che non sarebbe mai stata chiarita senza la presenza di un osservatore esterno alla famiglia come Laura. E’ la giovane moglie incinta di Marcos,  che giunge in Patagonia per la prima volta senza sapere molto di quella famiglia, la chiave per scardinare il passato. Suo malgrado diventerà parte di un nuovo segreto.
Come thriller è niente di speciale, meglio come indagine dei recessi familiari da cui emergono tanti vizi e nessuna virtù.
Ricardo Darìn è perfetto nell’interpretazione del rude Salvador. Curiosamente i Pirenei simulano le lande innevate della Patagonia.

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