Ho letto “Bertone. La montagna come rifugio” di Guido Andruetto

Giorgio Bertone era nato a Borgosesia, dunque non era un montanaro a tutto tondo. Ma aveva nel sangue la montagna e un talento innato per l’arrampicata. Scrive Andruetto: E’ ancora un ragazzino quando comincia a farsi accompagnare dal padre alle rocce più vicine, perché vuole provare ad arrampicare. Ha già quello in testa. Molto giovane, abbandona la casa di famiglia per andare a vivere a Courmayeur. A diciannove anni è portatore, a ventitre guida alpina. Il Monte Bianco diventa la sua casa, il suo rifugio.
In questo libro Guido Andruetto ricostruisce la figura di Giorgio Bertone, morto a soli 35 anni nel 1977 sotto la cima del Mont Blanc du Tacul, paradossalmente non durante un’ascensione ma in un incidente con l’aereo che pilotava. Perché ad un punto della sua vita aveva deciso che bisognava andare più in alto e aveva preso il brevetto da pilota. Ma questa decisione non era altro che la naturale evoluzione della sua idea di soccorso alpino. Scrive ancora l’autore: L’attività di guida alpina per Giorgio Bertone è sempre andata di pari passo con quella di tecnico del soccorso alpino. Il suo impegno come soccorritore in alta montagna è stato infatti molto apprezzato in Valle d’Aosta, soprattutto per la spinta innovativa che sapeva imprimere nella preparazione e nella gestione delle operazioni di salvataggio, specialmente per quanto concerne l’evoluzione delle tecniche e dei materiali.
Pagina dopo pagina, con la tignosità del ricercatore, Guido Andruetto ricostruisce la figura di Bertone, spendendo giornate intere a Courma dove pure è di casa, spulciando diari, archivi fotografici e registri dei rifugi, ma soprattutto ascoltando la viva voce dei protagonisti della montagna di allora, in particolare Renzino Cosson, grande amico e compagno di scalate di Bertone e oggi gestore del rifugio in Val Ferret a lui dedicato.
Ogni tanto Andruetto divaga, cita Giorgio Bocca, apre digressioni sulla montagna con Reinhold Messner (“se vuoi spostare più in là i confini devi camminare adagio, con passo costante e pacato, a grado a grado, chi corre saltando i gradini prima o poi inciamperà”), ricorda quel grande talento dell’arrampicata che fu Gian Piero Motti, infine dedica pagine al racconto di persone che tengono viva la montagna facendo i mestieri più diversi da questo lato del Bianco, così come a Chamonix e nella Val Ferret svizzera.
Sorge il dubbio però che La montagna come rifugio sia riferita all’autore stesso che trova in queste pagine la sublimazione della sua passione per la montagna. Lo si avverte ancor più nel breve paragrafo dedicato al rapporto tra montagna e musica, altra passione di Andruetto, che cita sì i grandi compositori, ma anche la colonna sonora delle arrampicate di Bertone negli Stati Uniti degli anni Settanta: gli America, Cat Stevens, Steppenwolf, Bob Dylan, Pink Floyd, Grateful Dead.

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