Ho visto “Cento anni” di Davide Ferrario – 35° TFF, Festa Mobile

Davide Ferrario è partito dal centenario della disfatta di Caporetto (24 ottobre 1917) per raccontare 100 anni di storia italiana. Per farlo ha scelto quattro momenti secondo lui significativi della nostra storia: il 1917 e la Grande Guerra; il 1922 e l’avvento del fascismo; il 1974 e la strage di piazza della Loggia a Brescia; l’oggi, il 2017, lungo la dorsale appenninica dall’Abruzzo alla Basilicata. Idealmente questi cento anni sono legati da due Caporetto, quella militare ovviamente e quella demografica, una disfatta che vede lo spopolamento del sud, in particolare nelle aree interne. Ma sono altrettante disfatte la guerra civile seguita alla caduta del fascismo e le stragi del terrorismo. Una pace perduta e mai più ritrovata.
Per raccontare il primo momento Davide Ferrario si avvale delle narrazioni di cinque attori in luoghi simbolici: Caporetto, il Piave, Vittorio Veneto, la Risiera di San Sabba, il Vajont. A supporto ci sono le immagini tratte da Maciste alpino (Itala Film, 1916). Occhio d’aquila! Piede di camoscio! Cuor di leone!
La parte dedicata al fascismo prende spunto da un libro del musicista (CCCP, C.S.I. e compositore di colonne sonore) Massimo Zamboni, L’eco di uno sparo. Con immagini d’epoca racconta di Ulisse, il nonno fascista dell’autore, ucciso per mano di due gappisti, nel 1944. Nel 1961, sempre a Reggio Emilia, i due partigiani regolano a modo loro i rancori che li dividono. Uno uccide l’altro e si costituisce. La Resistenza non ha insegnato nulla?
Sono passati 43 anni ma è ancora fresca – per tutto il Paese – la ferita che si è aperta con la strage di piazza della Loggia. Ferrario lascia raccontare gli eventi ad alcuni sopravvissuti di quel giorno, era il 28 maggio, chi c’era e chi ha perso un parente. Ma non basta, chiede anche ai giovani di oggi che cosa è rimasto e cosa rappresenta quel tragico evento per loro. A che cosa servono i morti?
Più sorprendente è l’ultima Caporetto, quella dei nostri giorni, perché vede la disfatta per spopolamento di vaste aree del Mezzogiorno. Ne parla Franco Arminio, poeta e attivista, accompagnandoci in giro attraverso l’Irpinia d’Oriente, come sottolinea, e la Basilicata chiedendosi se è ancora possibile una ripresa.
A che cosa servono i vivi?
Il documentario di Davide Ferrario è discontinuo. Per le quattro situazioni ha scelto strumenti e stili narrativi diversi, ma ciascuno potrebbe essere un film a sé stante.
Dice il regista di aver pensato al film “come la ricerca sulla persistenza di una sindrome Caporetto in tutta la storia italiana”. Che l’Italia abbia sempre bisogno di una disfatta per imparare qualcosa e ripartire?
Anche questo doc è da far vedere nelle scuole. Prodotto da Rossofuoco e RAI Cinema, distribuito da Lab 80 Film.

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