Ho letto “Stranieri su un molo” di Tash Aw

E’ un piccolo libro ma che dentro ha molto da dare. Soprattutto in questi tempi di nuova intolleranza. Tuttavia dubito che chi dovrebbe leggerlo abbia l’intelligenza o almeno la sensibilità per capirlo. Ha a che fare con le facce, le nostre facce. Tash Aw è di origine cinese-malese e il suo volto si mimetizza bene nel panorama culturale dell’Asia. Ovunque può essere scambiato per uno del posto, la sua faccia è la loro faccia: Tali e quali a me. Forse non ha a che fare con le nostre facce, ma con il nostro desiderio che tutti ci somiglino. Vogliamo che lo straniero sia uno di noi, qualcuno che possiamo capire.
Abbiamo ben compreso che Tash Aw è uno straniero ovunque si trovi: ha due distinte radici, in Cina e Malesia, i suoi antenati sono sempre stati migranti. Sono gli stranieri del titolo, smarriti su un molo, sono i nonni dell’autore, approdati a Singapore in fuga dalla Cina verso la Malesia negli anni Venti. Le radici regionali dei cinesi sono tante – hokkien, cantonese, teochew, hainanese – e altrettanto infinite le loro lingue. Ma tutto questo è del tutto irrilevante per chi è occidentale. Nessuno si sforzerà mai di capire le differenze. Il paese d’origine e il dialetto permettono loro di sopravvivere nelle nuove terre. Accade così per i cinesi. Accadde così per i nostri emigranti in America, anche loro stranieri su  un molo. Un nome e un indirizzo scritti su un pezzo di carta. Accade oggi per i nuovi migranti. Sai chi sei e quindi cerchi la tua gente; i tuoi familiari, i tuoi kakinang, ti aiuteranno. Trovali, non li mollare, e andrà tutto bene.
Istruzione, lavoro, mobilità sociale, integrazione, inclusione. Il lavoro in una grande città consente di far studiare i figli. I nipoti diventeranno professionisti e borghesi agiati. Tash Aw ci parla dei cinesi come lui, ma il discorso può essere esteso a tutti i migranti. Con due rischi. Rinunciare a tutto il proprio bagaglio culturale pur di integrarsi con successo nel nuovo contesto oppure aggrapparsi ai ricordi della madre patria e non vedere l’ora di andare in pensione per tornare ai luoghi che hanno lasciato.
Infine l’autore ci invita a non negare le differenze. Non siamo tutti uguali. Anche tra i cinesi, come spiegavo prima, ci sono enormi differenze culturali, sociali e materiali. La negazione di queste differenze crea problemi sistemici e rende impossibile superare la difficoltà a capirsi tra gruppi razziali e culturali.
E’ la mescolanza delle lingue che ci arricchisce e definisce le nostre esperienze. Il più bel fenomeno, dice ancora Aw, è quando la tua lingua si mescola con quella dell’altra persona per crearne una nuova. Il mescolamento non obbliga chi arriva da fuori a diventare uno del posto, ma costringe i nativi a diventare un po’ stranieri.

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