Ho letto “Trieste” di Daša Drndić

Ma la storia non vuole cornici. La storia preferisce rimanere aperta, perché possa essere continuamente aggiornata e moltiplicata.
In questo libro c’è più Gorizia che Trieste, a partire dall’Isonzo – il Soča – come canta Ungaretti: Questo è l’Isonzo / e qui meglio / mi sono riconosciuto / una docile fibra / dell’universo, per continuare con la Grande Guerra e tutto ciò che seguirà. Non è un semplice romanzo, come lo definisce l’autrice è una narrazione documentaristica ed è pieno di tanta roba. Roba molto spessa, come si dice oggi. Da dove partiamo? Potremmo farlo dall’adesione al manifesto PNF di tanti acclamati intellettuali e accademici d’Italia, al netto di alcune loro successive dissociazioni: Pirandello, Malaparte, Prampolini, Marinetti, Ojetti, Bontempelli, Salvatore Di Giacomo, Panzini, Ildebrando Pizzetti, Ardengo Soffici, Fermi, Mascagni, Respighi, Emilio Cecchi, Umberto Giordano… Tutti loro hanno a disposizione una cospicua somma di denaro mensile, viaggiano in prima classe, la gente si rivolge loro con l’appellattivo di “eccellenza”... Intanto alle donne viene proibito di insegnare filosofia, storia, lingua e letteratura italiana, latino, greco. E’ una legge del 1926.
Qui si innesta la parte di libro romanzato, la storia delle famiglie ebree Baar e Tedeschi, l’unione a Gorizia tra Florian Tedeschi e Ada Baar da cui nascono quattro figli. La vicenda segue da vicino Haya Tedeschi. Scopriremo strada facendo che è tutta pura finzione, anche se Daša Drndić si premura di fornire a tutti loro un preciso albero genealogico. Anticipo che la famiglia per sfuggire alle deportazioni si converte al cattolicesimo, si trasferisce a Trieste, poi Napoli dove i figli vanno a scuola, in Albania e infine fa ritorno a Gorizia per gestire una piccola cartoleria. Qui la ventenne Haya subisce il fascino di un ufficiale tedesco dell’Adriatisches Küstenland, il territorio comprendente le allora province italiane di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana, sottoposto alla diretta amministrazione militare tedesca. D’altra parte il fascismo irretisce le masse come se si trattasse di una partita di calcio. Se non si partecipa, lo si combatte, ma non è il caso della famiglia Tedeschi che subisce, come tantissimi connazionali, quello che gli inglesi chiamano il bystander effect, l’apatia dello spettatore o effetto testimone. Per cui non è un problema per Haya andare al cinema, a teatro, ai concerti con Kurt Franz, biondo, bello, alto, gentile, educato, che a sua volta non si fa un problema di andare a letto con una ebrea. Così quando l’occupazione nazista del nord Italia sta per terminare, Franz si congeda dalla ragazza lasciandola con un bambino di pochi mesi, Antonio Tedeschi, che viene presto rapito dalle autorità germaniche per far parte del programma segreto di Himmler: il progetto Lebensborn, la famigerata idea di produrre bambini di pura razza ariana. Il progetto fallisce per l’esiguità dei numeri e Himmler ripiega sul rapimento a tappeto di bambini che saranno accuratamente selezionati, gli ‘scartati’ finiranno nei forni, e affidati a comprovate coppie ariane. Haya scrive alle autorità in Germania per avere notizie del figlio, ma in realtà rinuncia a combattere per riaverlo. Riprende gli studi, si laurea e dopo la guerra insegna matematica. Solo con il pensionamento inizia le sue ricerche che si fanno sempre più accurate. Scopre così che Kurt Franz era un feroce assassino, niente meno che il comandante del campo di lavoro di Treblinka. Anziana e sola a Gorizia, ha messo insieme una cesta di fotografie e ritagli di giornali, fotografie, mappe, deposizioni di imputati e testimoni ai tanti processi celebrati negli anni contro i criminali nazisti. Li cataloga, li colleziona come tante figurine, nomi, volti e misfatti, tante vite e dietro ogni nome si nasconde una storia. Haya Tedeschi scopre anche la Risiera di San Sabba e cosa vi è avvenuto, con trent’anni di ritardo, in virtù della sua posizione di bystander che aveva volutamente chiuso gli occhi.
Se la storia di Haya e Antonio è pura finzione, sono drammaticamente reali le vicende documentate nel libro. Testimonianze ed elenchi di convogli di deportati con tanto di numeri, i nomi dei 9000 ebrei deportati dall’Italia oppure uccisi in Italia, l’elenco dei membri dell’Aktion T4, il nome convenzionale del programma nazista di eutanasia che  prevedeva la soppressione di persone affette da malattie genetiche inguaribili e di portatori di handicap mentali. Ciò che impressiona è quanti criminali l’hanno passata liscia: lo stesso spietato Kurt Franz è morto tranquillamente in una casa di riposo per anziani a Wuppertal all’età di 84 anni. E quanti figli e nipoti di nazisti hanno continuato a glorificarne le gesta. Per contro, tantissimi altri non sono riusciti a metabolizzare le colpe dei padri, hanno fatto le loro ricerche e sono arrivati a cercare sopravvissuti o loro discendenti per andare a chiedere perdono.
Nel libro scopro tante cose. Che Herbert von Karajan era un nazista, messo al bando da qualsiasi attività fino al 1948. Che il commediografo britannico Tom Stoppard (quello di Rosencrantz & Guildenstern Are Dead) era ebreo e ha scoperto solo nel 1999 di esserlo, che la sua famiglia era originaria di Zlìn in Moravia, si chiamava Straussler e si era messa in salvo all’indomani dell’occupazione tedesca nel 1939 fuggendo a Singapore, Australia, India. Che anche Madeleine Albright, già Segretario di Stato degli Stati Uniti durante il secondo mandato presidenziale di Bill Clinton, era venuta a sapere delle sue origini ebraiche con sessant’anni di ritardo, essendo i suoi genitori scappati dall’allora Cecoslovacchia occupata dai nazisti e il suo nome era Mladenka Jana Korbelová. Che nell’immediato dopoguerra le Forze Alleate hanno creato a a Bad Arolsen, nei pressi di Dortmund, la più gigantesca biblioteca dell’orrore, un archivio di tutti i misfatti nazisti, per anni gestito e reso inaccessibile dalla Croce Rossa forse per riorganizzare, cancellare e distruggere i dati dei suoi misfatti. Che l’infame Croce Rossa ha aiutato i nazisti a lavare il denaro sottratto alle vittime deportate e ha fatto anche peggio, una vergogna!, agevolando il transito attraverso la Svizzera dei convogli diretti ai lager. Che tutte ma proprio tutte le industrie tedesche dell’auto, dell’elettronica, della chimica, della meccanica si sono arricchite con il lavoro dei prigionieri affamati (questo era risaputo) prima che i nazisti dicessero loro: di qua, signore e signori, per la strada del paradiso, la strada verso le docce.
Scopro la commovente storia del celebre violinista ebreo polacco Artur Gold e del fratello Henryk, che a Treblinka hanno allietato con la loro musica i criminali prima di essere uccisi durante la rivolta del 2 agosto 1943. Esistono sue registrazioni degli Anni Venti, le ho ascoltate. Toccanti!
Scopro che Anni-Frid Lyngstad (Frida), la cantante brunetta del gruppo svedese degli Abba, era figlia di un sottufficiale delle SS ancora vivo negli anni in cui cantava e di una donna norvegese poi fuggita in Svezia.
Scopro la triste vicenda della scrittrice Helga Schneider, ora italiana, abbandonata da piccola, trent’anni dopo ritrova la madre, criminale di guerra condannata a Norimberga, che non si rassegna a rinnegare l’ideologia nazista. Anzi. Un incontro traumatico.
C’è anche la storia del professor Caccioppoli, nipote di Bakunin, quello che Mario Martone ha immortalato nel film Morte di un matematico napoletano, che era stato insegnante di Haya a Napoli.
Come dicevo c’è tanto materiale su cui riflettere e approfondire in questo libro. Resta un ultimo tassello, ed è il fatto che Hans Traube, registrato come atto di nascita a Salisburgo nel 1944, nel 1998 scopre dalla madre di chiamarsi in realtà Antonio e di essere stato adottato. Da allora Traube farà le sue ricerche per rintracciare la vera madre. Impiegherà quasi dieci anni, costruendo anche lui, in parallelo ad Haya, il suo personale archivio di documenti, ma infine arriverà a Gorizia. Ma questa è la parte romanzata del libro.
Personalmente metto Trieste tra i libri fondamentali per capire il Novecento insieme a Dentro il labirinto di Boris Pahor e a Il mondo di ieri di Stefan Zweig.

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