Ho letto “Il ritorno del maestro di danza” di Henning Mankell

Da qualche anno avevo interrotto la lettura dei gialli di Henning Mankell per poterli centellinare quando sarei stato in quiescenza. Ho ricominciato con questo, scritto nel 2000 dal maestro del giallo svedese, che si colloca più o meno a metà della sua produzione letteraria escludendo la serie del commissario Wallander. Come sempre la lettura è avvincente e le 490 pagine scorrono senza lasciare tregua. L’argomento è evidente fin dalla copertina, dove compare una svastica disegnata ai piedi di due ballerini di tango. Credo che Mankell abbia voluto denunciare un certo clima che aveva riscontrato nel suo paese. Non so se sia ancora così a diciotto anni di distanza, ma a giudicare da quanto avviene in Europa c’è da essere preoccupati.
Lo spunto è l’omicidio di Herbert Molin, poliziotto in pensione, ritiratosi in un casolare sperduto nel nord della Svezia. Si scoprirà che in gioventù si era arruolato, come tanti svedesi, nelle famigerate Waffen-SS. Stefan Lindman, ispettore di polizia ed ex collega del morto, in servizio a centinaia di chilometri da dove è avvenuto il fatto, si reca sul posto senza avere ruolo nelle indagini. Lindman infatti è a riposo perché in attesa di cure per un tumore che gli è appena stato riscontrato. I colleghi inquirenti non lo accolgono bene ma presto si accorgono che quel triste poliziotto trentanovenne ha delle intuizioni investigative e una caparbietà nel seguire le piste fuori dal comune.
Se l’attività ufficiale di un personaggio come Simon Wiesenthal, tra l’altro richiamato nel libro, nella caccia ai nazisti è durata cinquant’anni, è plausibile che qualcuno abbia invece condotto indagini personali per rintracciare gli aguzzini della sua famiglia e vendicarsi. Lindman intuisce ciò e porta i colleghi a indagare in quella direzione.
Ovviamente non si può raccontare di più di un bel giallo come questo, ma mi preme segnalare alcune cose. Ognuno di noi ha la sua storia e in ogni famiglia si possono celare sorprese in arrivo dal passato, non gradite e che possono fare male. L’omicidio di Molin, le cui caratteristiche sono quelle di una vera e propria esecuzione, fa emergere una complessa rete di giovani neonazisti, figli e nipoti di quegli stessi svedesi che erano andati a combattere per il Reich. Mankell intitola il capitolo finale del romanzo Gli onischi, attribuendo alle nuove leve del nazismo le stesse caratteristiche di quegli animaletti appartenenti all’ordine dei crostacei che si nascondono sotto terra, pietre, tronchi o legname marcio e tendono a spostarsi generalmente di notte.
La figura di Stefan Lindman è molto bella. Mankell cura i dettagli della sua psicologia di malato che attraverso indagini che non gli competono cerca di estraniarsi dalla radioterapia che lo attende. Ma la data incombe.
Di solito mi piace capire i luoghi dove si svolgono le storie che leggo. Non conoscendo la Svezia, accanto al libro ho aperto una cartina stradale per vedere gli spostamenti di Lindman in lungo e in largo per il paese, soprattutto in lungo.

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