Ho visto “Petit Paysan – un eroe singolare” di Hubert Charuel

Se lo scopo era mettere l’accento sulla vita di emme che fanno gli allevatori, Hubert Charuel c’è riuscito perfettamente. Pierre ha trentacinque anni e una fattoria con trenta vacche da latte che gli hanno affidato i genitori. Ha una sorella che ha scelto di fare il veterinario e in un certo senso gravita attorno alla stalla cercando di dare buoni consigli. La mamma vorrebbe che frequentasse una giovane panettiera, ma Pierre non ha occhi che per le sue mucche, accudite, vezzeggiate, adorate. E poi non ha tempo, la sua vita è scandita dal lavoro: mungere, portare le mucche al pascolo, pulire la stalla, assistere alla nascita di un vitellino. Tempo libero da trascorrere con gli amici? Neanche a parlarne. Probabilmente la dimensione della fattoria non gli consente di stipendiare un aiutante né di fare investimenti in tecnologia, come quelli fatti da un amico poco distante che ha una stalla modello con mungitura completamente automatizzata. Inoltre i controlli della sanità francese sono asfissianti (giustamente), prelievi continui di latte e di sangue, compilazione di registri e poi gli infiniti adempimenti legati all’Unione Europea. Così mentre un’epidemia di febbre emorragica si diffonde negli allevamenti della Francia, il panico dilaga tra gli allevatori perché è sufficiente che si ammali una sola mucca perché venga abbattuta l’intera mandria. E gli indennizzi sono sempre insufficienti e lentissimi ad arrivare.
Quando si infetta la prima mucca, Pierre cerca di correre ai ripari. La isola dalle altre, la abbatte, la brucia e la seppellisce nottetempo lontano dalla fattoria. Il giorno dopo ne denuncia la scomparsa alla gendarmeria. Ma non viene creduto. Intanto si ingegna per salvare gli altri capi. Il finale è spiazzante.
Hubert Charuel, 32 anni, dimostra di conoscere bene la materia in quanto figlio di allevatori della Haute-Marne. Nell’azienda di famiglia ha lavorato per qualche tempo prima di intraprendere gli studi di cinematografia. Questa sua opera prima mostra con un taglio quasi documentaristico una vita grama, fatta di amore per le bestie ma soprattutto di sacrificio e di frustrazione nel tentativo di superare gli ostacoli che madre natura frappone all’attività. In questo senso va inteso l’appellativo di ‘eroe singolare’, eroe involontario si direbbe, che il regista aggiunge al Petit Paysan. E’ un film duro, che non ammicca per nulla allo spettatore. Dopo averlo visto penso che in molti guarderemo con occhi diversi chi fa l’allevatore, per lo meno a questi livelli.

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