Ho letto “Il marchio del fuoco” di Boris Akunin

La storia è sempre quella: là dove la legge è ingiusta e irragionevole, la gente trova le scappatoie per aggirarla.
E’ il mio sesto Akunin, la sesta storia riguardante l’ispettore Erast Petrovič Fandorin, già consigliere titolare, diplomatico, ingegnere. Giova ricordare che Fandorin è leggermente balbuziente dall’età di diciannove anni in seguito ad un trauma per essere scampato ad un attentato, ha una sfacciata fortuna genetica ogni qualvolta si deve affidare al caso e capacità deduttive superlative. Akunin (pseudonimo di Grigorij Šalvovič Čhkhartišvili) lo fa invecchiare progressivamente nei suoi romanzi. Il marchio del fuoco (2003) è il più corposo e ricco di suggestioni culturali, storiche ed etniche. E’ suddiviso in due parti, apparentemente slegate tra loro ma che si ricompongono nelle ultimissime pagine. La prima è ambientata tra Mosca e Pietroburgo nel 1905. Fandorin è ormai alle soglie dei cinquant’anni ed è in forza alla polizia ferroviaria della capitale con il mandato di garantire la sicurezza delle vie di comunicazione. Siamo all’epoca della guerra russo-nipponica. Agenti segreti del Sol Levante tramano con i terroristi russi a colpi di attentati, con l’obiettivo comune di distruggere l’impero degli zar. Fandorin ha il suo bel da fare e deve far ricorso a nuovi metodi di investigazione per sventare gli attentati alla Transiberiana.
“Ecco dove si vede la buona stoffa del gendarme! Mica ci hanno pensato i civili del dipartimento di polizia, bensì i nostri! Ho già dato disposizione di assegnare le apparecchiature necessarie e una stanza separata. Lisicki diceva che l’idea dello spionaggio telefonico appartiene a lei.”
“Non ‘spionaggio’ ma ‘ascolto'”.

Un russo di origine giapponese, Rybnikov, con tecniche di lotta che a Fandorin ricordano qualcosa del suo passato, dà parecchio filo da torcere ma alla fine soccombe, autoeliminandosi alla maniera dei fantomatici ninja. Questa prima parte è strutturata come un haiku, dove ogni capitolo prende il posto di una sillaba.
La seconda parte torna indietro nel tempo e si svolge in Giappone nel 1878. Fandorin ha soli ventitre anni ma ha già maturato significative esperienze e viene inviato come viceconsole a Yokohama dove subito si trova in mezzo a intrighi di basso profilo.
Il giovane cadde ben presto in preda all’eccitazione che invade ogni essere di sesso maschile alla vista di una rissa, persino se non lo riguarda e in generale sia una persona pacifica. Il respiro accelera, il sangue scorre due volte più rapido, i pugni si stringono da sé e contro il buon senso, contro l’istinto di autoconservazione, si ha voglia di buttarsi nel mucchio e menare con foga a destra e a manca colpi alla cieca.
Tuttavia tutto ciò che accade intorno a lui fa parte di manovre orchestrate dall’alto, sia che si tratti di questioni economiche sia di intrighi politici internazionali.
Gli appalti edilizi in tutte le epoche e in tutti i paesi sono un’attività losca e rischiosa.
A poco a poco il viceconsole si imbeve indelebilmente di cultura orientale: di tecniche di seduzione e arti amatorie, grazie a O-Yumi, la concubina di un ricco diplomatico britannico che diventa a sua volta la sua amante; di usanze ancestrali nipponiche che apprende da Masa, un delinquente che Fandorin salva dallo sgozzamento e che diviene il suo fedelissimo servitore.
“Ma che avete voialtri giapponesi, alla prima difficoltà morale, subito a togliervi la vita! Come se ciò trasformasse una vigliaccata in un nobile gesto! E non c’entra affatto il bene della patria!”. “Io invece preferisco soffocare. Spararsi non è nello stile giapponese. Troppo rumoroso, e poi non si fa in tempo ad accorgersi di morire….”
Il romanzo funziona bene per tre quarti. Fandorin dopo aver sventato diversi intrighi anglo-nipponici ai danni della Russia si dedica alla caccia di un clan di ninja annidato tra le montagne e di cui la sua amata fa parte. E qui chi ha dimestichezza con manga e telefilm giapponesi si troverà a suo agio tra shuriken, shinobi e kunai. Non mancano tuttavia riferimenti alla cultura russa, Puškin e l’Onegin in primo luogo.
A differenza della prima parte, ogni capitolo è seguito da un haiku a commento di quanto si è appena svolto. Lo scrittore trova anche il modo di intrattenerci sul significato del suo pseudonimo: akunin in giapponese significa letteralmente “uomo malvagio”, “malfattore”. Tutti i romanzi di Akunin sono editi da Frassinelli.
Se ucciderete una cosa viva, raggiungerete la perfezione nella menzogna, ruberete, inghiottirete le feci bevendo insieme l’urina, solo allora diventerete ‘Budda’. Se fornicherete con la madre, la sorella, la figlia e compirete altri mille simili crimini, vi sarà riservato un alto posto nel Regno di Budda.

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