Ho letto “Non so parlare sottovoce” di Aldo Agroppi

L’aveva detto, l’Aldo, quando lo ha presentato al Salone di Torino, che il suo libro avrebbe divertito e commosso insieme. In effetti mi è bastato scorrere subito le prime pagine per entrare in una spirale di ricordi che a noi del Toro mettono i brividi: si parla di Superga, del Filadelfia, di Meroni, di Ferrini…
Caro dolce Filadelfia, luogo in cui ho trascorso fischiettando la mia ingenuità e la mia speranza, dove sono diventato uomo grazie agli insegnamenti dei più anziani. E’ chiaro che non si può restare insensibili di fronte a queste parole, come al ricordo del 4 maggio: Loro, gli invincibili, più si allontanano e più li sentiamo vicini. Abbiamo fondamenta indistruttibili perché il cuore del povero tifoso granata è come una fortezza inespugnabile.
Aldo Agroppi, indimenticabile calciatore del Torino e una delle bandiere del ‘granatismo’, poi allenatore fuori dagli schemi e ancora commentatore televisivo, ha scritto un gran bel libro i cui tratti principali sono l’ironia e l’umanità. Dice bene Gian Paolo Ormezzano nella prefazione che Aldo utilizza il calcio come metafora della vita. Comincia con il suo arrivo a Torino, arruolato nelle giovanili granata. Prosegue con il debutto in prima squadra, nell’infausto giorno della scomparsa di Gigi Meroni. Dedica un breve capitolo allo ‘scudetto fantasma’ del 1971-72, così bene analizzato da Bramardo e Strippoli nel loro libro Lo scudetto rubato. Racconta il dolore per l’accantonamento da parte di Radice proprio nell’anno dello scudetto del 1976, dopi undici anni di onorato servizio al Torino. Un dolore mai metabolizzato: Il mio passato, la maglia granata sfilata di dosso, senza garbo come se niente avessi fatto indossandola. …Un doloroso silenzio interiore… le lacrime di un pianto rabbioso, desiderato, voluto.
Una lunga dichiarazione d’amore alla maglia del Toro e come tutti gli amori contiene anche alcune delusioni… Basterebbero queste poche righe per capire chi è Aldo Agroppi. Ma poi ci sono le pagine divertenti con i mille aneddoti che ci regala, in particolare quelli dedicati alla ‘gobba’ e i ritratti in punta di penna di calciatori, allenatori, dirigenti e arbitri. Perché a lui non manca certo la battuta: La mia lingua è una belva che, una volta sciolta, è difficile mettere in gabbia. E così si spiega anche il titolo del libro insieme alla sua ‘toscanità’: per noi toscani la battuta piccante che tramortisce è un atto confidenziale, un attimo di spensieratezza, di felicità e di piacevole provocazione. Ovviamente dal libro esce fuori prepotente la sua Piombino, il suo mare che è sempre la cura per i momenti di malinconia. Agroppi è un toscano di scoglio come Lido Vieri, da distinguere dai toscani di rena, come ama sempre dire. E tra la storia del Torino e Piombino si potrebbe aprire una lunga parentesi visto che ha dato i natali anche a Sergio Piacentini (134 presenze e due scudetti con il Grande Torino) e a Nedo Sonetti, allenatore dei granata negli anni 1994 e 1995.
A proposito di allenatori, Agroppi ha una filosofia tutta sua che è bene scoprire pagina dopo pagina, ma che si condensa in questa frase: La maggior parte degli allenatori cerca non ciò che è necessario ma ciò che piace agli altri. E via con le critiche a mister molto gettonati di questi tempi. Da buon toscanaccio non le manda a dire a nessuno e ne ha anche per le nuove regole che hanno snaturato il calcio di oggi, come quella relativa all’espulsione del portiere per fallo da ultimo uomo: che cosa hanno inventato i caporioni: calcio di rigore, espulsione e squalifica la domenica successiva. Tre ergastoli in un colpo solo, nemmeno fossero Totò Riina.
Tuttavia non è vero che Agroppi non sappia parlare sottovoce, lo fa nei momenti dedicati al suo privato: ai genitori, ai figli, alla moglie, alla propria malinconia. E nell’ultimo capitolo in cui il calcio si fa in disparte e che dedica, tra politica e costume, alla nostra Povera Italia.
Grazie Aldo, terrò caro Non so parlare sottovoce nei ripiani ‘granata’ della mia libreria (ormai debordante di libri sul Toro).

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