Ho letto “Il diavolo nel cassetto” di Paolo Maurensig

Quanto più un’arte decade, tanto maggiore è il numero delle persone che vi si dedicano.
Era dai tempi del bel romanzo Canone inverso che non leggevo qualcosa di Paolo Maurensig. In questo divertente intreccio lo scrittore goriziano mette al centro la letteratura, intesa come scrittura e massima ambizione dell’essere umano, acculturato o meno. Alzi la mano chi non ha un manoscritto nel cassetto o non sogna un giorno di pubblicare un libro. Chi non è disposto a un patto col diavolo pur di veder pubblicato il proprio romanzo? Perché, scrive Maurensig, la letteratura …è il luogo dove ogni vanagloria, alimentata dall’invidia, cresce a dismisura, dove anche il più banale dei pensieri – purché sia impresso in caratteri tipografici – viene accettato come verità assoluta.
Gli è venuto bene quindi, con l’artificio del manoscritto ritrovato nel cassetto o spedito da ignoti, raccontare questa storia ambientata a Dichtersruhe, nome convenzionale di un villaggio della Confederazione Elvetica. Il narratore è il giovane vicario del vecchio e malandato parroco. Dichtersruhe, letteralmente sta per “quiete del poeta”, è nota perché si dice che in una locanda vi abbia soggiornato Goethe. Il luogo è abitato da gente dura, poco cordiale, quasi tutti sono imparentati tra loro e poiché i cognomi si ripetono, come accade spesso nei paesi, ognuno è provvisto di un soprannome… Webern Grattapancia, Müller Cacasotto, o peggio ancora.  Tutti avevano una passione segreta, la manìa di scrivere e di spedire alle case editrici le loro opere. Senza successo però.
Contattare i grandi editori equivaleva quindi, in termini di probabilità, al tentare la fortuna alla lotteria nazionale.
Questa originale ambizione degli abitanti di Dichtersruhe attira addirittura l’attenzione del diavolo che si presenta al villaggio con le sembianze di un importante editore di Lucerna, tal Bernardo La Volpe. Bisogna sapere che il giovane prete che racconta la storia da qualche tempo aveva notato movimenti strani da parte delle volpi che abitavano i boschi dei dintorni e la comparsa repentina di episodi di rabbia silvestre.
La rabbia, di cui la volpe è riconosciuta come la principale portatrice, suscita in noi una paura atavica, in quanto non solo porta a una terribile morte, ma è in grado di far emergere, della natura umana, ciò che da sempre si tenta di nascondere: l’insopportabile ferocia che si cela in tutti noi.
Mettere insieme le due cose era inevitabile: l’editore La Volpe era il diavolo. E il diavolo, si sa, si presenta sempre bene per ottenere i suoi scopi: il primo stratagemma del diavolo è quello di stringere amicizia con la vittima designata. E così ottiene i favori di tutta la popolazione, borgomastro in testa, ma anche osti e bottegai e perfino il vecchio parroco da cui ottiene una abitazione in uso temporaneo. Intanto tutta la popolazione è sovreccitata e tutti, anche le persone più insospettabili, sottopongono all’editore i loro scritti tenuti nel cassetto, pronti a fare carte false per essere pubblicati. Ecco che il patto con il diavolo è bell’e servito!
In fondo (è il diavolo che parla), il mio non è altro che un sapiente lavoro di maieutica: cerco di far emergere da ciascuno quanto di peggio si cela nel suo animo.
Questo romanzo breve di Maurensig è un divertente e duro apologo sull’editoria, sull’ambizione umana, sul narcisismo, l’invidia e la vanagloria. E’ sufficiente trasporlo nella società italiana di oggi (e nella politica) per capire tante cose. Faust: dove sei, diavolo, che devo pubblicare un libro! Maurensig ce l’avrà mica con certi suoi colleghi? Comunque buona lettura, il libro è scritto bene ed è divertente.
Tutte le volte che si prende una penna in mano ci si accinge a officiare un rito per il quale andrebbero accese sempre due candele: una bianca e una nera.

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