Ho visto “Un giorno questo dolore ti sarà utile”

Impressioni a caldo dopo l’anteprima. Non voglio cadere nella trappola di chi ha letto il libro di Peter Cameron e fa i confronti con il film. Non subito. Un giorno questo dolore ti sarà utile è un bel film ed è molto americano. Non so se questo può suonare come un complimento a Roberto Faenza, un regista che stimo e seguo da sempre. Gli perdono anche volentieri ciò che non apprezzo in altri registi italiani che dirigono in America: la stucchevole riproposizione di cartoline. Del resto come si fa ad ambientare un film nella Grande Mela senza certe inquadrature? E’ il libro stesso che lo chiede.
La non-storia del diciassettenne James, la cui maturazione è compressa tra le ingombranti personalità di papà e mamma, divorziati e presi entrambi dal proprio grande narcisismo, è simile a quella di tanti giovani di oggi, di ieri, di domani. Un malessere di vivere che può cogliere chiunque, in forme diverse, in un delicato passaggio della vita. James Sveck lo supera rifugiandosi nella serenità e nella saggezza della nonna materna Nanette, che a sua volta si era staccata dalla famiglia. E’ l’incontro tra due solitudini. “Ma come si può essere soli a New York?” si chiede spesso James, che a un certo punto viene costretto dalla mamma a confrontarsi con una psicoterapeuta.
Che James Sveck sia una sorta di Holden Caulfield sessant’anni dopo è fin troppo evidente. Lo stesso regista afferma che avrebbe voluto portare sugli schermi il mitico romanzo scritto nel 1951 da J. D. Salinger che ha influenzato generazioni di giovani, ma l’autore, scomparso nel 2010 dopo una vita riservatissima, non ha mai concesso i diritti. Non come ha fatto Peter Cameron che ha messo mano alla sceneggiatura insieme al regista e che nei prossimi giorni sarà in Italia per promuovere il film.
A questo punto però devo riprendere il libro e considerare come alcune frasi o particolari del romanzo, che avevo annotato nella mia recensione, nel film di Faenza non compaiano. Ma è normale, perché la sensibilità di ognuno fa sì che lo stesso libro appaia anche molto diverso.
Il titolo, nel romanzo è il motto di un campo estivo al quale il ragazzo viene mandato a fortificarsi. Nel film è una frase detta dalla nonna al nipote, una massima che rafforza il loro legame.
Manca la scena del pranzo di gala a Washington con i migliori virgulti d’America che crea tanto disagio a James. Mancano i riferimenti ad alcuni suoi miti (Trollope, Respighi, Thomas Cole…), così come la citazione delle decisioni dei genitori che arrivano in differita e si contraddicono o dei saggi dal titolo diviso coi due punti che nel libro mi aveva tanto divertito. Quisquilie! Perché se mi domando se la sceneggiatura è aderente al romanzo, la risposta è sì.
Quanto agli interpreti, Faenza sceglie in maniera intelligente tra gli attori di medio calibro americani, ma si regala un mostro sacro hollywoodiano dando a Ellen Burstyn il ruolo della nonna. Chi non la ricorda premio Oscar per Alice non abita più qui (1974) di Martin Scorsese? Ellen abita ancora qui ed è molto brava. Il giovane Toby Regbo (due passaggi in altrettanti Harry Potter) ha il suo primo ruolo da protagonista. Farà strada. Infine bella colonna sonora con le canzoni di Elisa, pezzo forte Love is requited. Requited, non ‘required’ come scrive qualcuno. C’è differenza. Produzione coraggiosa e ambiziosa Jean Vigo Italia. Film da vedere e far vedere ai giovani. Libro, per chi non l’ha letto, da recuperare. Penso che Adelphi lo rilancerà in questi giorni.

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