Ho letto “Cane bianco” di Romain Gary

I libri di Gary e tutto quanto ruota attorno a questo straordinario scrittore sono pieni di sorprese. Questa volta mi sono cimentato con “Cane bianco”, scritto nel 1970 e ambientato due anni prima. In questo romanzo Gary compare in prima persona come pure sua moglie, l’attrice Jean Seberg.
La coppia si stabilisce per qualche tempo a Beverly Hills dove Jean sta girando un film. Mentre l’attrice lavora, Gary ha parecchio tempo libero, prende appunti, scrive, si occupa dei diversi animali di casa, portati dall’Europa. In una giornata di tempesta sente uggiolare alla porta. E’ un grande cane bianco, una sorta di pastore tedesco, tutto fradicio. La bestia, non reclamata da nessuno, si inserisce bene in quella sorta di zoo domestico fatto di cani, gatti e pappagalli. Verrà chiamato Batka, piccolo padre, in onore delle origini lituane di Gary. E’ socievole e affettuoso, in contrasto con la sua mole. Qualche settimana dopo tuttavia tenta di aggredire un addetto alla pulizia della piscina. E qualche giorno dopo si accanisce contro un fattorino del supermercato. I due aggrediti hanno in comune la pelle nera. Gary porta allora il cane da un amico, addestratore di animali per il cinema. Scopre così che ci sono cani addestrati – siamo negli Stati Uniti razzisti degli Anni Sessanta – per dare la caccia ai neri. L’amico addestratore si offre di tenerlo a pensione nel suo centro, dove un inserviente nero ne tenterà una improbabile rieducazione.
“Ammetto che l’idea di guarire Batka” scrive Gary “aveva assunto nella mia testa proporzioni simboliche che non si possono capire senza una beffarda alzata di spalle a meno che non si abbia una certa idea nobile dell’uomo”.
Il romanzo a questo punto si dipana – senza perdere di vista il cane – negli ambienti democrat e liberal americani, nel mondo di Bel Air e Beverly Hills dove personaggi in vista, scrittori, attori, produttori, registi, organizzano party per raccoglierre fondi per la “causa nera”.
Intanto arrivano gli echi dalla Francia e dagli stessi Stati Uniti della contestazione del 1968.
Insomma, è un bel libro sugli animali ma anche un lucido spaccato sulle lotte contro il razzismo. Con significativi e gustosi squarci sul ménage privato tra l’attrice e lo scrittore. Fulminante poi il capitolo dedicato ad un noto attore, progressista pure lui, che per girare una scena d’amore con Jean Seberg, secondo i dettami dell’Actor’s Studio, pretendeva di provare a viverla fuori dal set. E allora Gary scrive: “Cerco di trattenermi. Nonviolenza, nonviolenza…. I pugni chiusi, un nodo alla gola. Decido di scendere a un compromesso: un calcio nel culo non è proprio violenza, non in senso stretto. E’ poco più di una ragazzata. E il secchiello del ghiaccio svuotato in testa in fondo è rinfrescante”.
Scopro infine che da questo libro nel 1982 Samuel Fuller ha tratto un film “White Dog”, con le musiche di Ennio Morricone. Il film uscì in Francia e in maniera quasi clandestina negli Stati Uniti.

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