Ho letto “Così giocano le bestie giovani” di Davide Longo

Arcadipane guarda le ossa. Non sono bianche e nemmeno gialle, ma verde pallido, pistacchio.
Di Davide Longo avevo già letto Il mangiatore di pietre (2005), storia di montagna, di ex-contrabbandieri  trasformati in porteur, tema quanto mai attuale. Poi mi sono perso le uscite successive fino a questo romanzo che è del 2018, preceduto da Il caso Bramard incentrato su un investigatore che ritroviamo qui.
“Noi non seguiamo un caso”, gli aveva detto un giorno Bramard, “è il caso che insegue noi”.
Mettere insieme in un’inchiesta un poliziotto, il commissario Arcadipane, e il suo mentore ed ex capo, Corso Bramard, non è una novità nella letteratura noir. Soprattutto se l’indagine riguarda un cold case e più freddo di così proprio non si può. Lo aveva già fatto Arnaldur Indriðason nelle storie con Erlendur Sveinsson e il suo capo Marion Briem. Anche la crisi esistenziale e familiare di Arcadipane non è molto originale. Si direbbe, niente di nuovo allora! Invece no.  Il ritrovamento di ossa durante gli scavi per un cantiere delle ferrovie nelle campagne attorno a Torino, Chivasso per l’esattezza, fa scattare l’indagine che viene affidata ad Arcadipane. Si tratta di parecchie parti che vengono ricomposte in diversi scheletri di uomini e donne. Una fossa comune, una esecuzione di massa? Da Milano però arriva una squadra scientifica che avoca a sé l’inchiesta. L’eccidio viene fatto risalire alla seconda guerra mondiale e il fatto archiviato tra le tante pagine di storia rimaste insolute. Il commissario però non ci sta: prima di abbandonare il luogo sottrae un femore e lo nasconde. Da quel reperto inizia la sua personalissima indagine. Il femore porta i segni di una frattura e di un intervento chirurgico particolare che viene fatto risalire agli anni Settanta. Grazie al contributo di amicizie riservate all’interno della polizia arriva anche a scoprire che si tratta di un ragazzo sospettato dell’incendio alla sede torinese del Msi in cui restò ucciso uno dei militanti. Qui la storia prende dei risvolti che sicuramente fanno drizzare le antenne a chi quegli anni di piombo – per questioni anagrafiche – li ricorda benissimo. E’ giocoforza per Arcadipane coinvolgere l’ex capo Bramard, ora insegnante nella remota provincia torinese, che negli anni Settanta era un giovane poliziotto ben introdotto negli ambienti politici e dell’università che ancora frequentava.
Intanto il commissario, per via della sua crisi esistenziale che da qualche tempo tormenta anche la sua sfera sessuale, inizia una serie di sedute da una psicologa mezza svitata. Sono incontri periodici che si risolvono in siparietti divertenti per il lettore e in ogni caso portano Arcadipane a superare in parte i suoi problemi familiari.
Attorno a lui si muovono poliziotti esperti e alle prime armi.
Lavezzi esegue. E’ giovane, di poche parole, senza grossi studi, ma non stupido. Tiene sulla scrivania cinque o sei puffi che cambia ogni mese…
Mario invece è semplicemente il tipo di poliziotto che ha visto il Po quando la gente faceva il bagno ai sabbioni sotto piazza Vittorio. E’ anche l’unico che ha sparato a qualcuno. Uno di Prima Linea, durante una rapina a mano armata...
Più intrigante, oltre a Bramard che ad un certo punto rievoca in prima persona le vicende di quegli anni, è la figura di Isa, una sorta di poliziotta punk per le cui capacità ricorda in qualche modo Lisbeth Salander. Infine, per chi è di Torino, c’è molto in cui riconoscersi: Porta Palazzo, il Po, Barriera di Milano, la Gran Madre e altri angoli meno frequentati.
Davide Longo pesca nel passato e scrive una storia che ha tanti punti di contatto con la realtà, se non altro per le atmosfere… E lo fa con umorismo, mettendo al centro questa figura di commissario di origine meridionale la cui autoironia – visto che mi sono sbilanciato in diversi paragoni – ricorda il personaggio di Rocco Schiavone.
Ecco cos’è invecchiare: non avere più tempo per diventare bravo a fare niente.

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