Ho letto “L’obelisco nero” di Erich Maria Remarque

“Niente quotazioni del dollaro, domani! Un giorno alla settimana l’inflazione sta ferma. Dio non ci pensava certamente quando creò la domenica”.
Quando Erich Maria Remarque scrisse questo libro era il 1956. La storia è ambientata nella Germania del 1923, nel periodo della Repubblica di Weimar, contraddistinto da una altissima inflazione. Il protagonista, Ludwig Bodmer, lavora alla Heinrich Kroll e Figli, unico dipendente della ditta di monumenti funerari a Werdenbrück, fittizia cittadina di sessantamila abitanti, caratterizzata dal contrasto tra edifici barocchi e quartieri poveri. Ludwig è un tuttofare: si occupa della pubblicità, disegna monumenti e decorazioni funebri, è il contabile della ditta. In questa veste si occupa di soldi. Era l’epoca in cui l’inflazione aveva distrutto il marco e i tedeschi andavano a fare la spesa con carretti pieni di banconote.“Inflazione” dico. “Eccola qua, la più selvaggia di tutte. Si direbbe che perfino la natura sappia che oggi si fanno i conti soltanto con cifre a quattro e sei zeri”. Ma Ludwig ha anche tempo libero che occupa frequentando un club di poesia che si riunisce settimanalmente in una rinomata osteria, lui stesso scrive, mentre la domenica si avventura in un manicomio isolato per suonare l’organo della cappella durante la messa. Mi piace questo luogo, lo amo, perché è silenzioso e non vi si parla di guerra, di politica e di inflazione. Posso dedicarmi a cose fuori moda come ascoltare il vento, sentire cantare gli uccelli, osservare il gioco della luce che filtra tra il verde chiaro delle fronde. Dopo messa per qualche minuto si dedica a Isabelle o Jennie o Geneviéve Terhoven, una delle pazienti più giovani, affetta da una fortissima schizofrenia.
Mi ha colpito che l’autore di un romanzo tragico come Niente di nuovo sul fronte occidentale abbia scritto un’opera così lieve, a tratti molto divertente, che io definirei allegorica. Tra l’altro contiene la famosa frase, erroneamente attribuita a Stalin, La morte di un uomo è una tragedia, la morte di due milioni è una statistica (Aber das ist wohl so, weil ein einzelner immer der Tod ist — und zwei Millionen immer nur eine Statistik) con tutti gli aggiustamenti che ha subito nel corso degli anni.
La Germania era sull’orlo della rovina, cresceva il nazionalismo che si preparava a devastare l’Europa. Scrive Remarque: “la speranza sventolava ancora sopra di noi come una bandiera, e noi credevamo ancora in quei valori sospetti che si chiamano umanità, giustizia, tolleranza, e pensavamo che una guerra mondiale potesse essere, per una generazione, un insegnamento sufficiente”.
Colpisce la vita della gente, le bancarotte continue, pochi speculatori che prosperano a scapito del prossimo. Ludwig è persona troppo corretta per districarsi in questa società con lo stato imbroglione che non è mai chiamato a rispondere dei suoi imbrogli, truffatore che porta via impunemente migliaia di miliardi ma caccia in prigione chiunque lo truffi per cinque miserabili marchi...
Capita che il nostro giovane eroe sia anche stato al fronte e ne sia tornato profondamente pacifista e antinazionalista. E si chieda se i cappellani della varie armate in guerra pregassero solo per i soldati del loro paese, figurandosi Dio come un inguaiatissimo presidente di società alle prese con preghiere che gli arrivano da fronti contrapposti. Come si può vedere la satira è a volte feroce e diretta, soprattutto verso il regime che si va preparando, a volte più sommessa e divertente. Remarque ci propone immagini che sembrano uscite dai giornali di oggi, come il corteo di protesta degli invalidi contro le pensioni troppo basse. Ma è tutta l’atmosfera del romanzo a richiamare il mondo attuale, con i suoi rigurgiti nazifascisti, e il nostro paese con l’economia verso la bancarotta.
Dice bene Remarque che dal passato non si impara mai nulla. Ma così è la vita: quando siamo finalmente riusciti a imparare qualcosa, siamo troppo vecchi per servircene. Ragion per cui non c’è generazione che impari la benché minima lezione da quelle che l’hanno preceduta.
Due parole sul titolo. L’obelisco nero è un monumento funerario invenduto che giace da tempo immemore nel giardino della ditta. Il buon Ludwig alla fine riuscirà a sbolognare anche quello, proprio nel momento in cui l’inflazione finisce, abbandonerà la “Heinrich Kroll e Figli” e andrà a Berlino per scrivere in un giornale. Tempi bui si riaddensano sulla Germania.
Un giudizio vero sulla guerra potrebbero darlo soltanto i morti, perché solo loro l’hanno vissuta fino in fondo.

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