Ho visto “Le nostre anime di notte” di Ritesh Batra

Come fare di un libro emozionante un film noioso. Ce lo insegna Ritesh Batra, il regista di Mumbai a cui si deve l’invece riuscitissimo Lunchbox (2013). C’è da dire che l’impresa era difficilissima, perché quanto più un romanzo è semplice e delicato tanto più è difficile renderlo in immagini. Certo non ha aiutato scomodare due mostri sacri del cinema mondiale come gli ottantenni Jane Fonda e Robert Redford (nel libro i personaggi hanno suppergiù dieci anni in meno). Entrambi portano sullo schermo il fascino della loro storia ma lasciano nello spettatore l’inevitabile scoramento per il tempo che è passato. Intendiamoci, fanno del loro meglio, ma avrei preferito vedere il film interpretato da due attori semisconosciuti ma meglio calzanti nelle parti. In ogni caso la critica li ha apprezzati (non so se per l’interpretazione o per omaggio alle loro carriere) e ha promosso il film. Temo che il pubblico non sia stato della stessa idea: in fondo, prodotto e distribuito da Netflix sulla propria piattaforma, non è uscito nelle sale (non esiste neppure una locandina in italiano) per cui manca quello scambio, talvolta tacito, di opinioni con altri spettatori al termine della proiezione.
Un film romantico e crepuscolare, è stato definito, io aggiungerei soporifero.
Addie Moore e Louis Waters, vicini di casa, entrambi vedovi, si conoscono di vista da decenni. Il paese, nel film non citato, è Holt, cittadina immaginaria del Colorado, già teatro della splendida trilogia di Kent Haruf (Benedizione, Canto della pianura
Crepuscolo) in cui la vecchiaia è sempre gran protagonista, arriva e non ti chiede il permesso. La donna prende l’iniziativa avvicinando un mattino il vicino e chiedendogli senza tanti giri di parole di dormire, qualche volta, insieme. No sex, almeno non subito, poi si vedrà. L’originale proposta spiazza il solitario Louis la cui massima espressione di vita mondana è la quotidiana birretta al bar con gli amici, vecchietti come lui, che poi si rivelano più pettegoli delle coetanee (è quasi sempre così). Dopo una giornata di riflessioni e tentennamenti Louis accetta e comincia a percorrere ogni sera quelle poche decine di metri che lo separano dalla casa di lei, con in mano un sacchetto contenente spazzolino e pigiama. Iniziano così la condivisione di un letto caldo e comodo e dei rispettivi ricordi personali di vita. Dapprima con timidezza, poi sempre con maggior disinvoltura. Nasce un sentimento e i due anziani sembrano rifiorire. Poi si mettono di mezzo figli e nipoti e, come accennato, l’invidia del paese.
Di Fonda e Redford ho già detto, le loro performance non aggiungono nulla alle sfolgoranti carriere che hanno percorso, anzi fa rabbia (e tenerezza) vederli ridotti così. Matthias Schoenaerts è il figlio assai credibile di Addie. Bruce Dern spicca nel club di amici del bar (ho ancora negli occhi la sua straordinaria interpretazione del Gen. Sanford Smithers in The Hateful Eight di Tarantino).
Le nostre anime di notte è stato un libro che mi ha toccato molto. Kent Haruf ci ha lasciato solo quattro libri, ma lo colloco tra i grandi scrittori americani del ‘900. Questo film non gli rende merito. Talvolta i libri è meglio lasciarli sugli scaffali. O sul comodino.

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