Ho visto “The Strange Sound of Happiness” di Diego Pascal Panarello

Ho conosciuto Diego la sera della proiezione al cinema Nazionale di Torino. Altro che “quarantenne alla deriva” come recita la scheda del film. Panarello è un ragazzone dalla simpatia contagiosa che è riuscito a coronare un suo sogno: realizzare un lungometraggio sulle origini del marranzano o scacciapensieri, quel piccolo pezzo di ferro che se lasciato in mano (e in bocca) a un principiante dà sempre la stessa ipnotica nota. Diego Pascal Panarello è siciliano di Augusta e nella sua regione lo strumento vanta una lunga e folkoristica tradizione. Ma è diffuso anche in altre lande. Ora dire dove sia apparso prima sulla terra è difficile, come chiedersi se è nato prima l’uovo o la gallina. Nella sua ricerca il regista è venuto a contatto con un mondo lontano, nientemeno che la Yakutia nella Siberia orientale, terra che Diego abbina subito al gioco del Risiko. Lì lo scacciapensieri si chiama khomus ed è lo strumento nazionale. Il suo viaggio personale in quella terra (una superficie dieci volte l’Italia per neanche un milione di abitanti) ha inizio: lui troverà ospitalità, amicizia e tante storie da raccontare. Con gli yakuti si esprime a gesti, perché il loro inglese è elementare, ed allora è il khomus che diventa il tramite per la comunicazione. Lo spettatore, a digiuno di nozioni su quella terra, troverà un mondo incantato popolato da gente semplice e con una temperatura media annua di -15°, con picchi di -45° a gennaio e +15° a luglio.
Il film, anzi di docufilm si tratta, è davvero sorprendente. Si scopre così che lo strumento ha addirittura origini preistoriche, è apparso in bambù poi si è trasformato, durante l’età del ferro, in quello che conosciamo oggi. I popoli nomadi lo hanno poi diffuso in tutto il mondo. In Yakutia ha trovato la sua terra d’elezione: viene insegnato fin dall’asilo, gli dedicano monumenti e musei, la sua forma viene ripresa in mille situazioni, ad esempio le ringhiere, vanta una festa nazionale in cui uomini e donne indossano i loro colorati costumi tradizionali. Panarello ci fa conoscere i custodi e i cultori di questo attrezzo, gli artigiani che lo costruiscono ancora con metodi arcaici, i virtuosi che lo suonano. Perché non bisogna dimenticare che khomus produce musica ed è stato sdoganato da parecchio tempo da semplice souvenir turistico (in Italia associato all’immaginario mafioso) in uno strumento entrato a pieno titolo nel mondo del rock, del jazz, della musica contemporanea.
Diego ci racconta con la sua voce fuoricampo l’ incredibile viaggio dalla Sicilia alla Yakutia, dalle spettrali carcasse di navi arrugginite nel porto di Augusta alle lande ghiacciate della Siberia. E ritorno, portando con sé in Italia anche i suoi nuovi amici asiatici. Tutto il film è intessuto di forte autoironia che si lega perfettamente con il tema del viaggio e della ricerca. Inizio e chiusura ci presentano il regista/attore alla ricerca dei suoni della natura. Non è forse lì l’inizio della musica? L’uomo non ha inventato nulla e il vibrare di una lamella non riproduce forse il frinire di una cicala? Per Panarello è il suono della felicità.
The Strange Sound of Happiness è il tipico frutto della casa di produzione torinese Stefilm, cioè un lavoro lungo, meticoloso, approfondito. Pensate che il progetto di Panarello (non sappiamo quanto a lungo sia stato nella sua testa) è stato presentato al Documentary in Europe di Bardonecchia nel 2011 e quindi prodotto da Elena Filippini, Eduardo Fracchia e Stefano Tealdi insieme alla tedesca Kick Film, dopo una raccolta crowdfunding partita l’anno successivo. L’hanno sostenuto MiBACT, Sicilia Filmcommission, Piemonte Doc Film Fund e ARTE. Presentato in vari festival, come tutti i documentari ha una distribuzione un po’ sofferta, tuttavia dalla scorsa primavera è proiettato qui e là. Se vi capita ancora l’occasione, non perdetelo.

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