Ho letto “Irène” di Pierre Lemaitre

“Per il momento niente smentisce la prima analisi. Quell’uomo odia le donne.”
Nell’ultimo viaggio a Parigi, qualche settimana fa, mi sono portato da leggere questo libro, primo di una tetralogia (per ora) di Pierre Lemaitre, a cui devo la bellissima lettura di Ci rivediamo lassù. Irène ci fa conoscere l’atipico comandante Camille Verhoeven della polizia di Parigi, squadra omicidi. Verhoeven non vuole essere chiamato commissario, così come il Rocco Schiavone di Manzini vuole essere sempre interpellato come vice questore. Ho scritto atipico perché Camille è piccolo di statura, cosa alquanto difficile da riscontrare in un poliziotto al di fuori di una fiction. Le migliaia di sigarette fumate dalla madre Maud, che è stata una pittrice di largo successo, lo hanno condannato ad essere affetto da ipotrofia fetale, cosa che ha segnato non poco la sua vita fin dall’infanzia.Con il suo metro e quarantacinque definitivo, Camille, all’epoca, non sapeva cosa odiasse di più tra la madre avvelenatrice che lo aveva sfornato come una pallida copia di Toulouse-Lautrec, solo meno deforme, il padre serafico e inerme, che guardava la moglie con l’ammirazione di un debole, e la propria immagine riflessa nello specchio: già uomo a sedici anni, ma incompiuto a vita.
Ciononostante Verhoeven fa la sua brava carriera in polizia, carattere difficile e spigoloso, ma nell’ambiente è considerato un vero duro, però con l’attitudine ad uscire spesso dal seminato delle regole per raggiungere i suoi obiettivi. Dal punto di vista privato è felicemente sposato con Irène, un rapporto strano, ma lei lo adora e sta per dargli il primo figlio.
Camille aveva due buone ragioni per essere celebre. Il suo savoir-faire gli era valso una solida reputazione che il suo metro e quarantacinque aveva trasformato in una certa notorietà.
Si inizia subito con due cadaveri di donne fatte a pezzi in un elegante loft. Ne seguiranno altri. L’assassino ha fatto le cose per bene, attento a non lasciare tracce. Il comandante brancola nel buio. La sua squadra è molto efficiente e unita. Louis è un giovane e ricchissimo dandy, ogni giorno si veste con lo stipendio di un anno di polizia, davvero non si capisce perché faccia questo lavoro. Armand è ispettore alla Omicidi da quasi vent’anni, da ben diciannove e mezzo godeva della reputazione del tirchio più squallido della polizia: sempre pronto a scroccare qualcosa a qualcuno.  Il terzo, Maleval, fumava molte sigarette, aveva una discreta fortuna alle corse e una spiccata predilezione per il whisky Bowmore. Ma in cima alla lista dei suoi desideri c’erano le donne.
Camille Verhoeven ha una marcia in più rispetto agli altri investigatori ed un metodo d’indagine tutto suo. Intanto ha un’intuizione pazzesca: ogni crimine potrebbe essere ispirato ad un libro giallo. Chiede supporto e conferma a lettori più forti di lui. Scorrono così Bret Easton Ellis (American Psycho), Émile Gaboriau, James Ellroy (La Dalia Nera), William McIlvanney. Per il comandante non è così semplice averla vinta su giudice e prefetto, né sulla stampa che sembra sempre essere ben informata delle sue mosse. Porta avanti il suo metodo chiedendo aiuto dapprima a un libraio, poi a un docente di letteratura noir e ai suoi stagisti, per cercare di scoprire cosa leghi tutti i delitti e soprattutto quali possono essere le intenzoni successive del serial killer. La chiave è lì, dentro i libri, è un lavoro da intellettuale più che da criminal profiler.
L’assenza di indizi, la minuzia dei preparativi non erano insignificanti e costituivano di per sé una traccia.
Oltretutto c’è la sua vita privata: la consapevolezza di dover trascurare la moglie in un momento così difficile, l’attesa spasmodica di diventare padre, il retaggio della madre di cui deve disporre un’eredità che non vuole tenere per sé, il silenzioso rapporto con il padre ancora vivo: un fardello troppo pesante per il più comune degli sbirri, lo gnomo della Polizia giudiziaria, il folletto pretenzioso e innamorato
La partita a due – tra Verhoeven e assassino – procede tra continui colpi di scena in una escalation mozzafiato. Irène è anche un atto d’amore verso la letteratura poliziesca da parte di Lemaitre. Seguiranno gli altri romanzi della serie, intanto ho scoperto questo bel personaggio che, per quanto ricordi, non ha eguali nelle mie letture.
Pierre Lemaitre, parigino, ha insegnato letteratura ed è anche sceneggiatore. I suoi romanzi sono tradotti in più di venti lingue e i diritti sono stati acquistati dal cinema.
Il primo sorriso, tra due uomini, è il principio della stima o della fine.

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1 risposta a Ho letto “Irène” di Pierre Lemaitre

  1. Mirella scrive:

    Terribilmente cruento… l’ho letto fino alla fine continuando a dirmi adesso interrompo è troppo!
    Come per gli altri libri Lemaitre crea personaggi fuori dai soliti
    Schemi inusuali inaspettati imprevedibili ed è ciò che mi ha conquistato.
    Condivido ciò che hai scritto mi ha fatto apprezzare e superare alcune resistenze che ancora avevo sul libro. Grazie

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