Ho visto “Vice – L’Uomo nell’Ombra” di Adam McKay

E’ il primo film che ho visto nel 2019. Credo di aver scelto bene perché Vice è parecchio intrigante. Certo devono piacere i biopic, ancor più le vicende politiche degli ultimi sessant’anni e i misfatti compiuti dagli Stati Uniti in varie parti del mondo. Hanno questo di favoloso gli americani, che si detergono l’anima facendoci su un bel film. Mi vengono in mente tutte le pellicole sul Vietnam, l’Afghanistan, il Nicaragua, l’Iraq, la Corea, un’infinità di posti dove hanno messo le mani e le armi, film che mettono in un angolo gli eroismi per evidenziare gli aspetti politici. Ci sono anche i biopic, come il poderoso J. Edgar (2014) di Clint Eastwood che ha messo a fuoco la controversa figura del direttore del BOI prima e poi dell’FBI sotto otto presidenti degli Stati Uniti.
Qui invece si racconta di Dick Cheney, fedele servitore, ricoprendo vari ruoli, di tutti i presidenti repubblicani da Richard Nixon a George W. Bush. Una carriera che si ferma al 2009 con l’arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca, quando Cheney era ormai quasi inattivo dopo quattro infarti e un trapianto di cuore. Cheney è tuttora vegeto. Negli anni è stato Capo di Gabinetto della Casa Bianca (con Gerald Ford), membro della Camera dei Rappresentanti per il Wyoming, Segretario alla Difesa con Bush padre e infine per otto anni Vice Presidente degli Stati Uniti d’America. Nei periodi in cui alla Casa Bianca c’erano i democratici, Dick Cheney ha continuato a fare lobbying per i conservatori e ricoperto incarichi di altissimo livello (come amministratore delegato della Hallyburton, gruppo specializzato nello sfruttamento dei giacimenti petroliferi, riceverà una buonuscita milionaria al momento di diventare vicepresidente USA). Per la sua posizione sull’Iraq è stato accusato dai democratici di aver fatto scelte che hanno favorito la sua ex azienda. Tutto questo nel film è ampiamento raccontato.
E pensare che da giovane Cheney era un perdigiorno e un ubriacone, espulso dall’università, poi rissoso operaio. Fino a quando la moglie Lynne, assai più ambiziosa di lui, lo ha messo in riga: o diventi qualcuno o ti lascio per sempre. Così si dà una ripulita, riesce a laurearsi e frequenta ambienti politici, fino a diventare il portaborse di gente importante. Dick Cheney ha fiuto, ci sa fare, è spregiudicato e brucia le tappe. A ventotto anni è nello staff del governo Nixon. Il suo mentore inizialmente è Donald Rumsfield, altro bel pezzo di conservatore americano. Ottima è la scena in cui Dick chiede a Donald “Ma noi, in cosa crediamo?” e questi esplode in una risata irrefrenabile. Cheney diventerà molto potente (e con la moglie sempre al fianco a condividere il potere e a disinnescare le trappole, come la rivelazione dell’omosessualità della figlia) e manovrerà da abile Uomo nell’Ombra tutta la politica statunitense, interna ed estera, condizionando la Nato e gli alleati Europei. Senza mai rimangiarsi nessuna decisione, neanche le più indifendibili.
Il film di Adam McKay racconta la storia di Cheney lungo cinquant’anni. Dentro c’è un po’ di tutto. Il regista usa più volte scritte esplicative a tutto schermo, quasi si trattasse di un documentario televisivo, eccede nei flashback, ma le trovate più geniali sono il finto finale che descrive il tramonto dell’uomo più potente d’America e la voce fuori-campo di un narratore americano qualunque che di tanto in tanto si palesa visivamente.
McKay dirige i suoi attori in maniera sorprendente. Christian Bale fa di Cheney una interpretazione mostruosa, modificandosi fisicamente in maniera credibile dai vent’anni alla settantina. Accanto a lui c’è Amy Adams (On the Road, The Master, Arrival, Big Eyes, con lo stesso Bale anche in American Hustle). Ma il più divertente e azzeccato è Sam Rockwell che impersona George W. Bush (notoriamente non una cima…).

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