Ho visto “Hugo Cabret”

Anche se il 3d non riesce ad affascinarmi né a convincermi, devo riconoscere che Martin Scorsese ha fatto un gran lavoro e che “Hugo Cabret”, ancor prima che una favola piena di magie, è un atto d’amore nei confronti del cinema nonché un omaggio a uno dei suoi padri indiscussi, Georges Méliès. Il tutto parte da un illustratore di libri per ragazzi, lo statunitense Brian Selznick, che nel 2007 ha pubblicato “La straordinaria invenzione di Hugo Cabret” riportando sotto i riflettori la figura di Méliès la cui vita di per sé è stata straordinaria. Scorsese dà luce, colore e movimento al romanzo e ci porta in un mondo fatto di ingranaggi, ruote dentate, misteriosi automi, orologi sospesi su una Parigi da cartolina, un variegato microcosmo che pulsa dentro la stazione ferroviaria. Il regista italoamericano compie un giochino ardito accostando la tecnologia più evoluta del 3d alle invenzioni, alle magie, a quelli che oggi sembrano innocenti ed ingenui effetti speciali di Méliès.
Nella stazione di Parigi Montparnasse vive un ragazzino di dodici anni dalla manualità straordinaria e con la passione della meccanica, Hugo Cabret, un orfano, un invisibile che in luogo di uno zio ubriacone si è assunto l’onere di manutenere tutti gli orologi della stazione. Incidentalmente entra in contatto con un anziano signore che gestisce un chiosco di giocattoli e che si rivela essere uno dei precursori della cinematografia.
Ma non si può raccontare una magia, occorre vederla. Il film ha il ritmo rallentato che hanno i sogni, ma questo non ne disturba la visione, non c’è fretta di arrivare all’epilogo. Partecipazioni stellari nel cast: Ben Kingsley (Méliès), Christopher Lee, Jude Law (il papà di Hugo), Sacha Baron Cohen (il gendarme) già noto per i demenziali “Borat” e “Bruno”. Una particina microscopica anche per Johnny Depp che del film è uno dei produttori.
Undici nomination per questo film non sono poche: tra le tante voglio evidenziare quella per la colonna sonora originale. L’ha realizzata Howard Shore incastonandovi alcune perle della tradizione musette parigina, tra le quali ho riconosciuto “Aubade Charmeuse” (J. Peyronin – 1918) e “Ça gaze” (V. Marceau), affidate ad una orchestrina ‘manouche’ stile Django Reinhardt. Per me un sollucchero e una spinta a correre a casa per suonarle con la mia Verde Prestige o con l’affezionata e consunta SuperSoprani. Quanto a “Hugo Cabret” non ho fatto in tempo a consigliarlo a mio nipote di sette anni, che lui l’aveva già visto.

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