Ho letto “Visioni democratiche” di Walt Whitman

Walt Whitman è stato il grande cantore della ‘democrazia’ americana. L’incipit di Song of Myself (I celebrate myself, and sing myself, And what I assume you shall assume,  For every atom belonging to me as good belongs to you) credo sia nella mente di tutti quanti si sono avvicinati alla letteratura anglosassone. Qualcun’altro si ricorderà invece dei “cinematografici” versi O Captain! my Captain! our fearful trip is done. In questo libercolo, pubblicato nel 1871 e composto da brevi capitoletti c’è la summa del pensiero americanista, libertario e democratico di Whitman. È curioso leggerlo o commentarlo oggi, 6 giugno e settantacinquesimo anniversario del D-Day, laddove Whitman scriveva ne “La nostra vera grandezza all’estero” che una nazione diventa veramente grande se raccoglie una grande varietà di personalità e piena libertà per la natura umana di espandersi in innumerevoli direzioni, anche in contrasto tra loro. Un filino imperialista ante litteram come teoria diremmo oggi, ma diamo al poeta il beneficio della buona fede e di un po’ di ingenuità. Mica sapeva il buon Walt che ci sarebbe stata la CIA, il Vietnam, le dittature sudamericane appoggiate dagli USA (in realtà 25 anni prima c’era già stata la guerra messicana).
Da poeta e scrittore Whitman afferma che la democrazia non può affermarsi completamente se non fa crescere le sue forme d’arte, i suoi poemi, le sue scuole. Su questo possiamo essere d’accordo ancora oggi, anche se abbiamo la prova che non è sufficiente. Il mezzo più efficace secondo lui è una letteratura nazionale originale:
Ben pochi si rendono conto di come la grande letteratura penetri in ogni cosa, a ogni cosa dia colore, dia forma agli aggregati e agli individui, e per vie sottili, con potere irresistibile, costruisca, sostenga, demolisca a piacere.
Una letteratura ‘alta’ quindi getta semi da ogni parte della società, in particolare, va da sé, nel giornalismo. Tuttavia, lamenta Whitman, fino a quel momento i pensatori degli Stati Uniti vi hanno prestato scarsissima attenzione o sono rimasti in uno stato di sonnolenza. Un po’ tira i colleghi per la giacchetta, un po’ l’acqua al proprio mulino.
Quello che non funziona (già a quei tempi) è l’amministrazione pubblica americana, nazionale, statale e municipale, in tutti i settori è satura di corruzione, venalità, falsità, incapacità… Le grandi città puzzano di latrocinio e di furfanterie rispettabili e non rispettabili. Whitman attacca anche i comportamenti della sfera personale: leggerezza, tiepidi amori, gracili infedeltà, piccole ambizioni o niente ambizioni del tutto tanto per ammazzare il tempo. E’ un passaggio ardito e particolarmente colorito nei termini, che non risparmia nessuna fascia di età, carica, mestiere, classe sociale, religione.
Che fare allora, preso atto che i problemi sono questi e le arti e la letteratura non bastano? Lo scrittore propone di non individualizzare ma di universalizzare e introduce due concetti: Solidarietà e Popolo. Parole che suonano attuali, vero? Come il passaggio sulle donne, in cui consiglia di evitare l’aria malsana che aleggia intorno alla parola lady e auspica donne d’America emancipate, educate a divenire le vigorose eguali degli uomini, lavoratrici insieme a loro, e forse soggetti di decisioni pratiche e politiche, più grandi degli uomini.
Credo che l’entusiasmo democratico di Walt Whitman sia autentico e che le sue Visioni, toccando vari temi della società in generale, non solo americana, abbiano validità civile e una modernità tali da essere proposte ancora oggi.
Visioni democratiche è stato pubblicato da Piano B edizioni nel 2014

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